E se dovesse succedere?
- a cura del Dr F. Gangemi
- 15 mar 2017
- Tempo di lettura: 3 min

La popolazione del Sud Italia convive con tre vulcani, l’Etna, lo Stromboli e il Vesuvio. Il primo di tanto in tanto si risveglia e solo quando il magma non si riversa nella Valle del Bove crea dei problemi ai centri abitati che sono alle pendici. Lo Stromboli per la sua caratteristica di puntualità ha dato vita alla definizione di “attività stromboliana”, significando una manifestazione eruttiva che ciclicamente si ripropone con costanza temporale, creando qualche disagio agli abitanti dell’isola ma nulla di più importante, fino adesso. Ultimamente, durante un’attività eruttiva, una piccola parte del suo cono è franato in mare creando un’onda anomala di modestissima entità ma allarmando gli abitanti delle coste dirimpettaie. Il Vesuvio è silente da molto tempo se si risvegliasse creerebbe dei seri problemi. Accanto ai sopra citati vulcani ne esistono degli altri in fondo al Tirreno: Magnaghi, Vavilov, Palinuro e Marsili, questi assieme alle isole vicine costituiscono la regione “dell’arco eoliano”. Il più grande dei vulcani sommersi è il Marsili che con i suoi circa 3000 metri d’altezza svetta nel Tirreno a circa 450 metri sotto il livello del mare. Ultimamente si stanno verificando alle sue falde degli smottamenti di terreno che per la loro poca incidenza non hanno dato preoccupazione. Diverso sarebbe se ci fosse un’attività eruttiva sottomarina, ciò causerebbe immancabilmente un maremoto. Bisogna tenere conto che il vulcano dista 140 chilometri dalla Sicilia, 150 chilometri dalla Calabria e circa la stessa distanza dalla Basilicata e Campania, inoltre la zona è attraversata da una faglia che proveniente dall’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra prosegue verso lo stretto di Messina dopo essere passata tra Sardegna e Corsica.
A ciò che abbiamo descritto in modo molto sintetico bisogna aggiungere che nella costa della Calabria, interessata a tale evento, esiste un altro problema che probabilmente ai più non è noto ma che certamente le autorità preposte ne hanno contezza e lo terranno nella dovuta considerazione.
Le piane di Gioia Tauro e Lamezia Terme in tempi remoti erano coperte dal mare, in successive ere geologiche questo si è ritirato in parte e ciò che rimase fu invaso da detriti e terra intrappolando e inglobando in essi le acque esistenti e le piante del fondo del mare, per cui i terreni che costituiscono le due pianure, al momento, galleggiano su dell’acqua primordiale. Prova ne è che effettuando delle trivellazioni nel terreno l’acqua sgorga senza l’ausilio di mezzi meccanici di sollevamento, in alcuni casi è di odore sgradevole. La causa di tutto ciò è dovuta alle alghe che in ere geologiche antiche furono intrappolate le quali macerandosi hanno creato dei gas favorendone la fuoruscita dell’acqua e il cattivo odore di putrefazione. Un eventuale sisma di una certa consistenza, probabilmente, potrebbe causare la “liquefazione”del terreno provocando notevoli problemi. Tanto per intenderci sarebbe simile a ciò che è successo nell’ultimo terremoto che interessò la pianura padana.
Detto ciò dobbiamo entrare nella parte cruciale del discorso. Speriamo che un evento catastrofico di tale portata non si concretizzi ma se ciò dovesse accadere, anche in modo ridotto, quale piano da parte della regione, provincia e comune è stato approntato, o si dovrà prevedere, per la messa in sicurezza delle popolazioni interessate? Questo è l’interrogativo che ci poniamo e giriamo a chi di dovere. Riteniamo che gli organi locali preposti siano in grado di gestire una catastrofe naturale di una certa importanza e se ciò non fosse? Come diceva il compianto Andreotti “a pensar male è peccato ma spesso ci si azzecca”.
Il Presidente
(Dr. Antonio Pizzi)
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