GRAZIE STRILL
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- 4 mar 2017
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GRAZIE STRILL, PER AVER SCOPERTO UNA PARTE DEL VOLTO DELLA SANITA’ CALABRESE
Francesco Gangemi Direttore de “Il Dibattito News”
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La strana storia della cardiochirurgia calabrese. Che coincide con Catanzaro…
Giovedì 30 Maggio 2013
9:31

di Clara Varano – Cardiochirurgia a Catanzaro. Cardiochirurgia pubblica a Catanzaro, bisogna specificarlo, per anni è stata sinonimo di Attilio Renzulli.
Sottolineare ”pubblica” non è casuale, perché nel capoluogo i centri cardiochirurgici sono due: quello del Policlinico Universitario, diretto fino a pochi mesi fa, appunto, da Attilio Renzulli e quello privato del Sant’Anna Hospital, ritenuto un centro di eccellenza, dove il chirurgo di riferimento (per l’esattezza direttore del dipartimento di chirurgia cardiovascolare) è Alfonso Agnino, da alcuni mesi subentrato a Mauro Cassese. Due realtà sempre a confronto e, da quello che Attilio Renzulli spiega a Strill.it, molto diverse. Una storia, quella di cardiochirurgia in Calabria, che ha radici lontane e che il professor Renzulli ha raccontato con dovizia di particolari attraverso passaggi politici e, a sua detta, “baronie” universitarie, che hanno decretato, pochi mesi fa, anche la fine della sua esperienza professionale come primario.
Quand’è che si può iniziare a parlare di cardiochirurgia a Catanzaro?
La cardiochirurgia in Calabria, non solo a Catanzaro, inizia molto in ritardo. Nel nuovo millennio. Fino ad allora esisteva solo una cardiochirurgia universitaria carente, sia di risultati che di numero di interventi. Esisteva una forte emigrazione sanitaria. I poveri calabresi dovevano recarsi in strutture delle regioni limitrofe o in strutture del Nord appoggiati dai loro connazionali. Agli inizi dell’anno 2000, sia nel privato che nel pubblico, avvengono alcuni cambiamenti che poi saranno decisivi. Nel privato l’avvento del dottor Cassese, che apre una attività al Sant’Anna, numericamente efficiente e soddisfacente.
Lei quando arriva a Catanzaro?
Io mi trovo ad arrivare alla cardiochirurgia nel Mater Domini, nel dicembre del 2003. Trovai una situazione allo sbando, priva delle più normali attrezzature per cardiochirurgia. Carente sia nella mentalità del management, che era completamente assente, che di figure chiave che abbiamo dovuto formare. Ovviamente esisteva qualche persona perfettamente all’altezza della situazione, ma abbiamo formato sia medici, sia infermieri, che perfusionisti ad un’attività cardiochirurgica, specialmente routinaria.
A cosa condussero queste “carenze”?
Questa situazione portò un’iniziale giunta Chiaravalloti a formulare un piano sanitario che si proponeva l’istituzione di altre 2 cardiochirurgie: una a Reggio e una a Cosenza, che sarebbero state in connessione con l’Hub di Catanzaro che avrebbe provveduto a far sviluppare queste due realtà periferiche. C’è da dire che nel 1990, io fui invitato dalla cardiologia di Reggio ad effettuare un intervento di cardiochirurgia all’ospedale Riuniti. Questo intervento andò perfettamente bene e ci fu anche una delibera regionale per l’istituzione di un centro di cardiochirurgia a Reggio, però, interessi superiori, all’epoca impedirono la realizzazione del progetto. Quindi arriviamo alla giunta Chiaravalloti che predispone questo piano sanitario regionale e in questa ottica noi ci muoviamo.
Vi muovete, chi ed in che senso?
Io e il Sant’Anna. Inizialmente presi contatti con Cosenza e la clinica Sant’Anna con Reggio, dopo ci fu un cambio di opinioni.
Poi cosa successe?
Subentrò il governatore Loiero, il quale sulle prime mantenne una situazione di stabilità, ma poi, pian piano che la situazione del bilancio economico degenerava, iniziò sul piano sanitario a promettere altre cardiochirurgie, per cui ne fu promessa una a Cosenza e una a Reggio, dove furono addirittura istituiti gli organici e dove furono addirittura banditi i concorsi.
Cioè sono stati fatti dei concorsi? Ci sono dei vincitori?
No! I concorsi furono solo banditi, tutt’ora ci sono i nostri documenti presentati, ma mai espletati. Parliamo di cardiochirurgia pubblica, perché non espletano i concorsi che loro stesso hanno bandito? Loro bandirono i concorsi per Reggio Calabria e Cosenza, quindi i centri di cardiochirurgia, da due, diventavano 4. Negli ultimi giorni della giunta Loiero, addirittura il presidente autorizzò un quinto centro al Pugliese, nuovo con 5 posti di cardiochirurgia. Questa è un’assurdità!
Perché è una assurdità?
Perché, secondo i canoni nazionali ed internazionali, deve esserci una cardiochirurgia ogni 500mila o milione di abitanti. La Calabria ne ha un milione e 800 mila considerando che le punte vanno nelle regioni limitrofe, quindi sì e no, ci sarebbe il posto per due centri di cardiochirurgia e questa è la teoria del Tavolo Massicci, il quale manda un commissario straordinario in Calabria per regolarizzare questa cosa. Intanto, sempre la giunta Loiero, utilizza un finanziamento degli anni ’90 e lo investe in un centro cuore a Reggio. 18 milioni di Euro spesi per aprire questo centro senza nessuna programmazione.
Ma come e quando si arriva alla diatriba di oggi?
Il Taovolo Massicci dice che i centri devono essere 2, però ad un certo punto Scopelliti vuole aprire il centro a Reggio e si inizia a vedere quale di quelli esistenti deve essere eliminato. Si pensa prima al privato, ma il privato è privato, ha delle amicizie potenti e quindi, subito, questa idea viene accantonata e si mira sul centro pubblico. Quando questa ipotesi inizia a concretizzarsi (decreto 136/2011, decreto 110/2012, 112/2012, ndr), la città catanzarese si è ribellata, anche perché il decreto 136 è chiaro, i posti assegnati erano zero, però come in tutte le cose, quando la gente non riesce a spiegare qualcosa che è così evidente, si giunge al concetto della trinità: sono tre, però sono due, no è uno, quindi i centri diventavano tre, però poi erano due sulla carta. Ma questo come è possibile? Pian piano, si è cercato di anestetizzare questa situazione.
Prima di emanare questi decreti e di stilare una convenzione, che poi non è stata sottoscritta dall’Università, voi cardiochirurghi siete stati ascoltati?
A tutti i colloqui, hanno sempre partecipato persone che cardiochirurghi non erano. Non è stata mai chiesta la consulenza di un cardiochirurgo o quanto meno non è stato mai informato nessun cardiochirurgo. Io non ho mai avuto il piacere di scambiare qualche mia idea con le istituzioni qualificate, che mi spiegassero le trattative che si stavano conducendo o addirittura che mi chiedesse informazioni su particolari tecnici di centri di cardiochirurgia.
Lei, prima, ha detto che le normative nazionali prevedono un centro di cardiochirurgia ogni 500mila o milione di abitanti, quindi il territorio di Reggio, numericamente ci arriva ad averne diritto…
Ovviamente! È vero che la città di Reggio può avere un centro di cardiochirurgia per abitanti, però è anche vero che ad un quarto d’ora di traghetto esiste Messina che aveva due centri di cardiochirurgia, c’è anche Catania che ha altri due centri di cardiochirurgia, quindi il problema per cronici ed i pazienti non in emergenza non sussiste. Il problema lì dovrebbe essere sentito di meno rispetto a Cosenza che è a ore di autostrada dal centro di cardiochirurgia pubblico. Questo è tutto quello che c’è sulla programmazione del centro di cardiochirurgia.
Quanti sono gli interventi che una cardiochirurgia deve fare per rientrare delle spese?
La cardiochirurgia deve fare almeno 500 interventi all’anno per rientrare con le spese e con 10 posti in dotazione non si fanno mai. Se si fanno 500 interventi l’anno circa, si ammortizza l’investimento dell’attrezzatura e delle risorse umane, che devono essere disponibili 24 ore su 24. Il problema è che in nessun Paese del mondo si sarebbe pensato di chiudere la cardiochirurgia pubblica per lasciare aperta la privata. In Calabria questo è stato paventato.
Un centro di cardiochirurgia pubblico, quello di Catanzaro, l’unico in Calabria, che non viene potenziato, che ha carenza di organico, che, addirittura, dalla relazione della Commissione Serra-Riccio, viene definito sottoutilizzato, lei che spiegazione dà?
Il centro pubblico e l’Università non sono mai stati potenziati e c’è tutta una letteratura al riguardo, fatta di interrogazioni parlamentari, regionali. È stato sempre tenuto in disparte per evitare che potesse competere eccessivamente con il privato e questo nella relazione di cui parla lei è evidenziato. Sia cardiochirurgia che cardiologia nella ripartizione dei posti letto sono considerate su scala provinciale e non regionale, ma mentre per cardiologia hanno adeguato le strutture, hanno investito milioni e milioni di euro, sia in materiali di consumo che in attrezzature, risorse umane ed altro, in cardiochirurgia hanno investito pressoché zero, con la piccola differenza che di cardiochirurgia ce n’è una sola pubblica in Calabria, mentre di cardiologia ce ne sono tante, già a Catanzaro ce n’è un’altra nella stessa azienda al Pugliese.
E come mai questo trattamento di favore riservato a cardiologia?
Misteri della vita universitaria. Ci sono professori che contano di più e professori che contano di meno. Ma cosa conta, conta il curriculum? No forse conta qualche altra cosa che non è dato conoscere. Comunque (cambia argomento) la programmazione sanitaria deve essere unica e deve essere ragionata con i tecnici, fatta su base regionale e devono essere stabilite le priorità. È raccapricciante che in 10 anni, di cardiochirurgia si è parlato con cardiologi e non con cardiochirurghi, che non sapevano niente e tiravano solo acqua al proprio mulino. I punti di alta specializzazione quali quelli dei trapianti di organi, di ematologia, le terapie intensive e le cardiochirurgie, vanno ripartiti sul territorio. Il problema però qua si pone, guarda caso, solo per la cardiochirurgia.
E perché tutto questo secondo lei?
Perché cardiochirurgia è l’unica attività che si presenta redditizia dal punto di vista privato. I Drg (acronimo di Diagnosis Related Groups, ovvero Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi, in sostanza il sistema di retribuzione degli ospedali per l’ attività di cura, ndr), infatti, sono pagati bene. Gran parte della emigrazione sanitaria attuale dei calabresi è verso strutture private o accreditate gestite da chirurghi calabresi, i quali vengono, fanno incetta di pazienti e portano i casi trasportabili fuori, drenando così fuori dalla Calabria i pazienti del Sud. Quindi in Calabria la sanità non viene incrementata.
La chirurgia generale al policlinico fa interventi poco importanti, di routine. Togliendo cardiochirurgia, non essendo il policlinico pagato a drg, ma a quota capitali, 50 milioni di euro all’anno, considerato che la proposta del governatore Scopelliti era di levare la cardiochirurgia e pagare a drg… non conveniva più. Da qui la mancata sottoscrizione.
Lei arriva al Mater Domini nel 2003 e nel 2013 viene esonerato dal suo ruolo di primario di cardiochirurgia al Policlinico, cosa è successo in questi 10 anni?
Quando ho iniziato cardiochirurgia, come le ho già detto, le risorse umane e strutturali erano scadenti e al di sotto di ogni altra realtà italiana. Con pochi innesti siamo riusciti a produrre attività lavorative di 250 interventi operativi a cuore aperto all’anno. Poi, pian piano, è subentrata una certa ostilità sia all’interno dell’università, perché qualcuno non era compiacente, sia al di fuori. Però, ciononostante, noi conducevamo sempre un’attività di altissima specializzazione operando persone che non potevano emigrare, quindi pazienti più gravi, più anziani, più defedati, in dialisi, che la clinica privata non voleva accettare. E facevamo interventi di altissima specializzazione. Eppure, abbiamo avuto l’amministrazione contro.
In che senso?
Uno dei problemi rimaneva una terapia intensiva dedicata alla cardiochirurgia. Cosa assolutamente inusuale e unica realtà pubblica italiana a non avere una terapia intensiva dedicata.
Questo cosa comporta?
I pazienti cardiochirurgici venivano e vengono lasciati insieme ad altri pazienti con infezioni temibili e questo poteva determinare un rischio di infezione maggiore. Ho più volte denunciato, scritto richiesto a tutti i livelli, sia locale, che regionale, che nazionale. Ci sono state interrogazioni regionali al riguardo, interrogazioni parlamentari al senato.
Della terapia intensiva parla anche la commissione Serra-Ricco…
La commissione Serra-Riccio, la commissione di indagine che indagava sulla malasanità in Calabria, recita in un passaggio che la cardiochirurgia è tenuta in queste condizioni per favorire il privato. Nonostante ci siano altre due terapie intensive perfettamente attrezzate all’interno del mater domini queste non venivano aperte. Inoltre noi facevamo le emergenze senza avere nessuna disponibilità di una terapia intensiva che, a seconda dei posti, se erano liberi o occupati, diceva se potevamo accettare o meno il paziente.
Veniamo al 2013, cosa è successo?
A Gennaio di quest’anno, quando tre pazienti operati e sani, muoiono improvvisamente per un’infezione acuta, io chiaramente ho detto che queste erano delle condizioni inaccettabili in cui lavorare. La direzione sanitaria ha bloccato l’attività, senza nemmeno discutere con me di queste problematiche. Ha bloccato l’attività, però non ha bloccato l’emergenza. Ed io allora mi sono domandato “che cosa dobbiamo fare se arriva un’emergenza?”, e loro hanno detto che dovevamo prenderla con la lettera scritta del primario di anestesia, che non si potevano prendere malati, esponendo noi a rischi. Io mi sono chiaramente rifiutato e loro mi hanno detto che mi avrebbero denunciato per interruzione di servizio pubblico. Allora io ho detto “voi volete che riprenda l’attività? Io però faccio prima un esposto alla Procura nel quale spiego la situazione qual è e dico che riprendo l’attività perché voi me lo avete detto, ma non sono convinto”. Al riguardo avevo proposto un isolamento microbiologico di una delle stanze del mio reparto, di sedimentare la sala operatoria e di dividere la terapia intensiva. Questi interventi costavano dai 200 ai 300 euro, quindi non avevo nemmeno proposto cose trascendentali. Loro per lesa maestà di qualche barone bulimico di spazi e di ambizione, hanno rifiutato queste possibilità e sono andati avanti. A questo punto ho presentato l’esposto.
L’hanno sostituita per questo motivo?
No! Dopo questo episodio sono stato male, ho avuto diverse crisi, dovute proprio allo stress e sono stato ricoverato. Trascorsi sette giorni torno a lavorare e eseguo altri sei o sette interventi, finché in seguito all’influenza, ho avuto una polmonite con una ricaduta del primo episodio. A questo punto, l’azienda Mater Domini, fa una delibera nella quale dice che io non avevo fatto le visite dal medico competente e che si era concluso il mio iter diagnostico. Allora, io vorrei sapere perché si era concluso quel giorno, chi aveva deciso di concluderlo quel giorno e quanti medici erano nella mia condizione? Senza preavviso, mentre ero malato nel letto, mi dichiarano inabile perché non ho concluso il lavoro e quindi nominano un altro. Non fanno solo la sostituzione, ma considerato che il mio contratto era scaduto da un anno e mezzo, però loro continuavano a pagarmi da primario a darmi le responsabilità da primario, hanno deciso di nominare un sostituto. Hanno fatto così, perché se avessimo fatto una competizione regolare dell’analisi dei titoli, Mastroroberto non avrebbe mai avuto questo posto, comparato con me.
Perché, a suo avviso, hanno fatto questa sostituzione?
Non è finita qui! Dopo essere stato dimesso mi reco dal medico competente per le analisi da fare, raccolti gli esami mi dice che non ci sarebbero stati problemi. Dopo 15 giorni ricevo una lettera in cui mi rinviava alla commissione, perché lui non sapeva come comportarsi col mio caso. Il medico competente deve esprimere un giudizio tra: idoneo, non idoneo o idoneo con limitazioni. Lui, invece, mi ha mandato alla commissione, dove vanno quelli che non vogliono lavorare e si appellano al suo giudizio. Io volevo lavorare. La conseguenza è stata l’interruzione della mia attività clinica, a causa della quale percepisco metà stipendio, per colpa di questa gente che ancora dopo tre mesi dall’evento non mi fa sapere qual è il mio destino.
È per questa situazione che ha fatto ricorso al Giudice del Lavoro, quindi?
Esatto. Oltre al ricorso al giudice del lavoro, ho presentato un esposto alla Procura della Repubblica, denunciando le omissioni e gli abusi tenuti nei miei confronti e ho chiesto la sospensione dai pubblici uffici di questa persona coinvolta nella vicenda. L’azienda Mater Domini ha prodotto nel giro di tre giorni, tre delibere contro di me, guarda caso mentre io ero ammalato nel letto. Perché avevo denunciato le problematiche gravi e perché c’è qualcuno che vuole fare il barone, che ha avuto troppo e non ha il senso della misura. Il quale vuole condizionare tutto nel suo universo per poter regolare l’università e per poter fare i corsi accelerati di candidatura a Rettore (non fa nomi).
Però nella conferenza della scorsa settimana, il dottor Mastroroberto, ha detto che il bilancio di questi tre mesi, da quando è subentrato lui, è positivo! Da quando è finita l’era Renzulli, insomma, il bilancio è migliorato…
Le persone devono parlare con i numeri e con i dati. Gli universitari sono auto referenzianti, specialmente in certe latitudini, dove sono ancora più auto referenziati. Non si può dire che l’attività si sia interrotta, questo no, ma non raggiunge i numeri e la qualità di prima e per certe patologie la mortalità è molto al di sopra della media nazionale ed è a livelli scandalosi. Non si fanno più interventi di alta specializzazione. Il drenaggio dei pazienti è solamente interno e pochi sono quelli che provengono da fuori. Non si può dire che si fanno le emergenze, quando sono state rifiutate almeno 4 emergenze dal territorio regionale, che non vanno mai rifiutate qualsiasi cosa accada, perché l’unico centro di emergenza cardiochirurgica è questo.
Komen