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MAMMA DI TUTTE LE MAMME SANTISSIME

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  • 21 dic 2016
  • Tempo di lettura: 4 min

LA PRIMA TESTA E’ CADUTA. ALLA PROSSIMA.

Perdonami collega STELLA, se ho riprodotto l’articolo a Tua firma.

FRANCESCO GANGEMI

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Corriere della Sera

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  • CRONACHE

POLITICA E GIUSTIZIA

Il sedicente benefattore dello Stato che subaffitta a prezzi da capogiro

Il metodo di Sergio Scarpellini, detto «er cavallaro», arrestato insieme a Raffaele Marra: otteneva dagli enti pubblici contratti così lussuosi che con i soldi si comprava i palazzi. Suoi alcuni dei locali per la Camera, il Tar del Lazio, il Comune

di Gian Antonio Stella

Chissà se Sergio Scarpellini, sedicente «benefattore dello Stato», si sarà pentito di non essersi deciso a mollare davvero tutto per trasferirsi in Cina, come raccontò in un’intervista. Proprio così disse, tre anni fa, mentre emergevano nuovi grattacapi, al cronista di Repubblica: «E io che faccio ora? Licenzio tutti e me ne vado in Cina. Siamo un Paese della vergogna». Testuale. Senza alcun timore di apparire ridicolo. Per carità, con un gruzzolo come quello messo da parte affittando «i palazzi del Palazzo», avrebbe potuto fare anche a Pechino o Shanghai, in questi anni di boom, investimenti interessanti. Niente di paragonabile, però, con l’«età dell’oro» da lui vissuta in Italia. Anni segnati dalla megalomania di deputati e senatori decisi ad avere, dopo le «ristrettezze» dei primi decenni parlamentari, sempre più spazi, più spazi, più spazi.

Ai tempi di Fanfani

«Parecchi senatori rilevano che Fanfani, quando fu per la prima volta presidente dell’assemblea, dal 1968 al 1973, fece mettere una statua di Emilio Greco nel cortile d’onore e un arazzo di Corrado Cagli nel suo studio, ma non trovò indecoroso che molti tavoli per scrivere fossero, addirittura, sparpagliati nei corridoi», scriveva nel ‘78 il grande Guido Quaranta nel libro Tutti gli uomini del Parlamento. Va da sé che «tutti protestano di non avere dattilografe a cui dettare il testo dei loro discorsi» e «di non avere nessuno che li aiuti nelle ricerche in biblioteca». Perfino per leggere i giornali, sospiravano i poveretti, dovevano accalcarsi nei saloni «pigiati come sardine». C’era da capirli.

Le 21 sedi-dependance di Montecitorio

Certo è che la concessione iniziale di qualche metro in più si risolse in una tale alluvione di stanze e scrivanie e armadi e salottini e disbrighi che i canoni per gli uffici presi in affitto dalla Camera, canoni che nel 1983 assommavano a 868.000 euro d’oggi, salirono e salirono fino ad arrivare nel 2010, quando Montecitorio aveva ormai 21 sedi-dependance (ventuno!), a 35.625.000 euro: quarantuno volte di più. Con una accelerazione nell’ultimo decennio, che pure era stato definito in un dossier Bankitalia «un decennio orribile». Orribile per gli altri italiani, però. Non per gli Scarpellini. Che si ritrovarono, a cavallo di quell’era di «grandeur» che sarebbe sfociata in una media di ottanta metri quadrati di spazio per ogni deputato, nel cuore del businness. Basti ricordare che il solo Palazzo Madama nel 2006 si ritrovò a spendere per «facchinaggio e traslochi» 1.255.000 euro. Mediamente 3.984 euro per ogni senatore. Caruccio.

L’iniziativa di Violante

Come si sia avviata la deriva è noto. Siamo nel 1997. Il Veneto, l’Emilia, la Lombardia e larga parte del Paese vivono una stagione di benessere che non lascia manco immaginare, nonostante gli scandali di Tangentopoli, i grossi guai di un futuro non molto lontano. Pressata dai deputati che si lagnano dei «bugigattoli» in cui si sentono ristretti, la Camera presieduta da Luciano Violante decide a dare a ciascuno un ufficio proprio e, non potendo trovare spazi sufficienti nelle sedi che già occupa, decide di prendere in affitto dalla società «Milano 90 srl» di Sergio Scarpellini prima uno, poi due, poi tre, poi quattro palazzi rastrellati dal costruttore. Denuncerà anni dopo la radicale Rita Bernardini, fiera di essere cocciutamente riuscita a trovare i documenti: «Vi leggo ad alta voce le parole dell’accordo con Montecitorio: “Premesso che la Milano 90 srl ha in corso di acquisizione la proprietà e disponibilità del compendio immobiliare al rione Trevi-Colonna...” Capito? Non so se mi spiego: quando viene firmato il contratto Scarpellini ancora non ha gli immobili». È solo in trattativa. Il contratto però è così lussuoso che gli consentirà di andare in banca, farsi anticipare il denaro, comprare i palazzi e pagarsi i mutui con gli affitti concordati. E che affitti! Stratosferici. Per nove anni più nove. Più altri soldi per fornire ai parlamentari servizi aggiuntivi: pulizie, portierato, ristorazione… «Tutti finiti alla stessa società, senza bando», accuseranno battaglieri i radicali. Per un totale, dal 1997 al 2010, di 586 milioni. Sufficienti a comperare nel cuore di Roma, secondo il Borsino Immobiliare Confedilizia, edifici per oltre 63.000 metri quadrati ristrutturati.

Gli affari «der cavallaro»

«Che dovevamo fare?», sbuffò il questore anziano Angelo Muzio contestando chi gridava allo scandalo, «Una gara europea per affittare qualche immobile?». Ma per l’immobiliarista soprannominato anche «er cavallaro» perché proprietario di una delle maggiori scuderie italiane, la Nuova Sbarra, i «Palazzi Marini» il cui contratto cesserà finalmente solo nel 2014 («Merito nostro!», esulterà il grillino Riccardo Fraccaro) è solo uno degli affaroni con la politica. Tra i tanti, spesso accompagnati da generose donazioni (regolari, per carità: ma opportune?) a quasi tutti i partiti, Lega compresa, val la pena di ricordarne almeno tre. Quello dell’ex hotel Bologna, trasformato in uffici per 86 senatori al modico costo finale di 81,6 milioni senza che a Palazzo Madama restasse alla fine un solo mattone. Quello del palazzo di Largo Loria affittato dall’Inpgi per 2,1 milioni al costruttore e da questi subaffittato al comune di Roma per 9. E quello dell’Isma, un altro palazzetto di 3 mila metri quadri vicino al Pantheon così malandato che la ristrutturazione, quasi tutta a spese del Senato che iniziò a pagare l’affitto quando ancora era un rudere, costò 9 mila euro al metro finendo per pesare sul bilancio finale sette volte più di quanto valutato da una perizia del Demanio.

Le risposte ad Annozero

Eppure, a sentir lui, ha sempre fatto gli interessi pubblici: «Dovrebbero darmi una medaglia». «Ma come ha fatto?», gli chiese un giorno per Anno zero di Michele Santoro, incuriosito da tanta fortuna, il reporter Stefano Bianchi. Risposta in romanesco: «Ma lo sa che c’ho io a Roma, amico mio? C’ho un impero». Macché soldi della Camera! «Della Camera e delle vostre accuse me so’ proprio rotto er cazzo». E basta coi sospetti di connivenze: «Ma chi me l’ha detto de compra’? Nessuno me l’ha detto. Io ci ho la vista lunga. So’ imprenditore!». E concluse: «Ho il fiuto di capire. Se lei mi prende una casa e gliene serve un’altra... Lo sento. A comprare quei palazzi assieme sono stato fortunato. Tutto qui». Tutto lì...

16 dicembre 2016 (modifica il 17 dicembre 2016 | 19:33)


 
 
 

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