MAMMA CHE MAMMA SANTISSIMA PARTE IV°
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- 13 nov 2016
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Questa Sezione (sentenza n. 18797 del 20 aprile 2012, CED Cass. n. 252827, richiamata anche dalla citata sentenza n. 48 del 2015 della Corte costituzionale) ha così focalizzato la differenza fra il partecipe all'associazione (intraneus) ed il concorrente esterno (extraneus):
(a) sotto il profilo oggettivo, essa va individuata "nel fatto che il concorrente esterno - benché fornisca un contributo che abbia una rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione - non sia inserito nella struttura criminale;
(b) sotto il profilo soggettivo, essa va individuata "nel fatto che il concorrente esterno - differentemente da quello interno il cui dolo consiste nella coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell'accordo e quindi del programma delittuoso in modo stabile e permanente- sia privo dell'affectio societatis.
Peraltro, nella consapevolezza che detti canoni, astrattamente ineccepibili, possono in concreto risultare di nebulosa applicazione, si è condivisibilmente ritenuto di precisare, in relazione all'elemento materiale del reato associativo, che "l'art. 416 bis c.p. incrimina chiunque partecipi all'associazione, indipendentemente dalle modalità attraverso le quali entri a far parte dell'organizzazione criminosa. Infatti, non occorrono atti formali o prove particolari dell'ingresso nell'associazione che può avvenire nei modi più diversi. La mancata legalizzazione - cioè l'atto formale di inserimento nell'ambito dell'organizzazione criminosa - non esclude, pertanto, che il partecipe sia di fatto in essa inserito e contribuisca con il suo comportamento ai fini dell'associazione; questa Corte, infatti, da tempo, ha chiarito che la prova dell'appartenenza, come intraneus, al sodalizio criminoso può essere dato anche attraverso significativi facta concludentia ove siano idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo". Il "prendere parte" al fenomeno associativo implica, quindi, sul piano fattuale, "un ruolo dinamico e funzionale in esplicazione del quale l'interessato fornisca uno stabile contributo rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La suddetta condotta può assumere forme e contributi diversi e variabili proprio perché, per raggiungere i fini propri dell'associazione, occorrono diverse competenze e diverse mansioni ognuna delle quali - svolta da membri diversi - contribuisce, in modo sinergico, al raggiungimento del fine comune".
Ne consegue che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 416 bis c.p., è necessaria e sufficiente l'adesione (anche non formale o rituale) al sodalizio, con impegno di mettersi a sua disposizione ricoprendo - in via tendenzialmente stabile - uno specifico ruolo, da cui promani un costante, effettivo e concreto contributo (anche atipico, ovvero di qualsiasi forma e contenuto) finalizzato alla conservazione od al rafforzamento di esso. Generalmente l'attenzione si concentra sull'aspetto più cruento dell'associazione mafiosa ossia sui reati fine (estorsioni, usura, omicidi, traffico di stupefacenti ecc.) che vengono assunti ad indice del fenomeno associativo che sta a monte"; tuttavia, ai fini del raggiungimento degli scopi associativi, risultano non meno importanti le attività poste in essere da soggetti in apparenza al di sopra di ogni sospetto, dotati di specifiche competenze professionali (la c.d. "borghesia mafiosa"), strumentalizzate al fine di consentire al sodalizio mafioso di "dilagare" nel campo della società civile per incrementare ulteriormente le propria potenzialità operative: questi soggetti - siano essi politici, pubblici funzionali, professionisti o imprenditori - devono ritenersi far parte a pieno titolo (come concorrenti interni) all'associazione mafiosa quando rivestano, nell'ambito della medesima, una precisa e ben definita collocazione, uno specifico e duraturo ruolo - per lo più connesso e strumentale alle funzioni ufficialmente svolte - finalizzato, per la parte di competenza, al soddisfacimento delle esigenze dell'associazione. In questi casi, ove l'attività svolta da questa particolare categoria di soggetti presenti i caratteri della specificità e continuità e sia funzionale agli interessi e alle esigenze dell'associazione alla quale fornisce un efficiente contributo causale, la partecipazione dev'essere equiparata a quella di un intraneus tanto più ove il soggetto, per la sua stabile attività, consegua vantaggi e benefici economici o altre utilità". Andrà, pertanto, essere considerato a pieno titolo come partecipante (quanto meno) alla societas sceleris, e non come mero concorrente esterno, il soggetto (appartenente alle categorie suddette) che si sia messo a disposizione del sodalizio assumendo stabilmente, nel suo ambito, il ruolo di elemento di collegamento tra i membri del sodalizio criminale e gli ambienti istituzionali, politici e imprenditoriali; "il contributo di questi soggetti della "borghesia mafiosa" è per l'associazione fonte di potere, relazioni, contatti. Occorre ricordare, in proposito, che le associazioni mafiose sono tali perché hanno relazioni con la società civile - ed, invero, tali relazioni che uniscono i boss con una rete di politici, pubblici amministratori, professionisti, imprenditori, uomini delle forze dell'ordine, avvocati e persino magistrati, costituiscono uno dei fattori che rendono forti le associazioni criminali e che spiegano perché lo Stato non sia ancora riuscito a sconfiggerle.
(La predica sia pure decantata dalla suprema Corte di Cassazione, non riesce a convincere gli atei, vale a dire ai non credenti, a trasformarsi in religiosi praticanti. La verità è che le associazioni di tipo mafioso, sono strettamente collegate alla corruzione, alla massoneria deviata, a pezzi importanti dello Stato e ai magistrati. Poco conta se è esterno o intraneus, ciò che t’introduce nell’associazione da estraneo è la collaborazione al fine raggiungere finalità delinquenziali. Mi torna in mente la famigerata “famiglia Basile” operante internamente ed esternamente con l’associazione mafiosa attraverso una continua collaborazione con una rete di politici, di pubblici amministratori, professionisti,. Imprenditori, uomini delle forze dell’ordine, finanche prefetti e magistratura. Ciononostante la “famiglia” Basile operante su tutto il territorio italiano da esterna e/o interna all’associazione mafiosa, non è disturbata da nessuna Procura della Repubblica, compresa quella reggina. Addirittura pare, non sta a me accertarlo, che alcuni magistrati si rivolgano all’interna ed esterna “famiglia” Basile per raccomandare mafiosi e ladri d’essere assunti. Non solo. La Procura reggina, avendo competenza ai sensi dell’all’art.11 c.p.p. d’intervenire sulla magistratura corrotta di Messina, lascia che l’acqua scivoli sul marmo. Allora, qualcuno voglia spiegare a un individuo qualsiasi perché un giudice della Repubblica abbia assolto un imputato accusato di con corso esterno perché il reato non esiste? Presumo, che ogni essere umano abbia il diritto di conoscere concretamente, codice alla mano, quando è estraneo o in che modo concorra con l’associazione mafiosa. Particolarmente in questa città reggina disperata, esautorata e oramai popolata quasi esclusivamente da una fascia di popolazione superiore ai sessanta anni giacché le fasce più giovani scappano non da Reggio ma dall’Italia, si sopravvive d’interdettive mafiose, di concorsi esterni e di proiettili di vario calabro che in busta sono recapitati a politici da quattro soldi allo scopo d’essere scortati e assumere una dimensione diversa dal nanismo. L’altra cosa certa è che quando si ha l’intenzione di colpire un giornalista libero e non assoggettato a padroni e padrini o qualcuno ti sta sui coglioni poiché non aderisce al favore che ti chiede, non solo è ristretto nelle carceri e quando esci e sei affidato ai servizi cosiddetti sociali per ti computano nei tre anni di condanna per il reato di diffamazione con la smorfia,, è vero dr Cappuccio e altri, in sede dibattimentale la reticenza giacché non dici chi ti ha comunicato l’informazione quando già gli autori del delitto sono arrestati e processati. Se sei affetto da patologie importanti, ti mandano al domicilio per controllarti i Carabinieri nel cuore della notte nella speranza che subentri nell’ammalato un’importante fibrillazione atriale e non dai più fastidio ai padreterni che in terra comandano e agiscono a briglie sciolte per mancanza di un’urgente riforma della giustizia. Questa è la mia opinione senza rubare nulla ai giuristi, ai costituzionalisti, ai ciarlatani e agli scrittori magistrati. NDR).
Basti pensare che gli infiltrati, "le talpe", le fughe di notizie riservate e, in casi ancora più gravi, le collusioni di investigatori, inquirenti o magistrati, con le cosche mafiose, possono portare al fallimento parziale o totale delle indagini".
(a proposito, chi ha sfondato negli uffici della Procura la porta della stanza che conteneva documenti segreti (intercettazioni abusive, verbale sottoscritto dall’extracomunitario che ha assistito all’omicidio Fallara e altri documenti riservati) prima che il Procuratore Pignatone, fosse nominato capo della Procura di Roma dove pare che l’inchiesta “Mafia Capitale” stia per raggiungere gli scaffali polverosi dell’archivio NDR).
8.1.4.4. Trattasi di principi ormai pacifici nella giurisprudenza di questa Corte.
Si è, infatti, osservato che, nei rapporti tra partecipazione ad associazione mafiosa e mero concorso esterno, la differenza tra il soggetto intraneus ed il concorrente esterno risiede nel fatto che quest'ultimo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur fornendo ad essa un contributo causalmente rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione, e, sotto il profilo soggettivo, è privo della affectio societatis, laddove il partecipe intraneus è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell'accordo e del programma delittuoso in modo stabile e permanente (Sez. 6^, sentenza n. 49757 del 27 novembre 2012, CED Cass. n. 254112).
Ritornando successivamente ad esaminare la questione, si è poi osservato che la partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi fra loro, in quanto la condotta associativa implica la conclusione di un pactum sceleris fra il singolo e l'organizzazione criminale, in forza del quale il primo rimane stabilmente a disposizione della seconda per il perseguimento dello scopo sociale, con la volontà di appartenere al gruppo, e l'organizzazione lo riconosce ed include nella propria struttura, anche per facta concludentia e senza necessità di manifestazioni formali o rituali, mentre il concorrente esterno è estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell'associazione, ovvero di un suo particolare settore di attività o articolazione territoriale, e diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. 6^, sentenza n. 16958 del 16 aprile 2014, CED Cass. n. 261475).
Si è, infine, chiarito che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trova in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo della associazione criminale, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi; ne consegue che è da considerare intraneus - e non semplice "concorrente esterno" - il soggetto che, consapevolmente, accetti i voti dell'associazione mafiosa e che, una volta eletto a cariche pubbliche, diventi il punto di riferimento della cosca mettendosi a disposizione, in modo stabile e continuativo, di tutti gli affiliati della consorteria, alla quale rende conto del proprio operato (Sez. 2^, sentenza n. 53675 del 10 dicembre 2014, CED Cass. n. 261620). (Per favore arrestate quasi tutti i parlamentari, senatori e marmaglia varia NDR).
8.1.4.5. Nei medesimi termini la distinzione tra le due figure è stata focalizzata dalla Corte costituzionale con la già citata sentenza n. 48 del 2015: a parere del Giudice delle leggi, infatti, "La differenza tra il partecipante "intraneus" all'associazione mafiosa e il concorrente esterno risiede (...) nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur offrendo un apporto causalmente rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento, e, sotto il profilo soggettivo, è privo dell'"affectio societatis", laddove invece l'"intraneus" è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell'accordo e del programma criminoso in modo stabile e permanente (...). Dunque, se il soggetto che delinque con "metodo mafioso" o per agevolare l'attività di una associazione mafiosa (...) può, a seconda dei casi, appartenere o meno all'associazione stessa, il concorrente esterno è, per definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio: diversamente, perderebbe tale qualifica, trasformandosi in un "associato". Nei confronti del concorrente esterno non è, quindi, in nessun caso ravvisabile quel vincolo di "adesione permanente" al gruppo criminale (...)".
8.1.5. Conclusioni. In conclusione, il contributo adesivo del partecipe all'associazione mafiosa deve, oggettivamente, configurarsi come tendenzialmente stabile e durevole, ovvero concretizzarsi nella continuativa disponibilità, per apprezzabile lasso di tempo, del proprio apporto, e, sotto il profilo soggettivo, essere connotato dalla coscienza e volontà di entrare a far parte stabilmente ed organicamente dell'associazione ed operare per il raggiungimento delle finalità della stessa.
Appare, di conseguenza, evidente che le condotte che si concretizzano in un ausilio occasionale all'associazione, poste in essere senza entrare a farne parte stabilmente, senza essersi messi più o meno durevolmente a disposizione del sodalizio, senza assumere all'interno di esso un ruolo od una funzione ben determinati, non possono rilevare come condotte di partecipazione ex art. 416 bis c.p., perché atipiche rispetto alla previsione tassativa della predetta norma incriminatrice.
La ratio della rilevanza penale da attribuire al c.d. concorso "esterno" (come detto, pacificamente configurabile dal punto di vista dogmatico) va, pertanto, rinvenuta, senza alcun dubbio, nell'esigenza di attrarre nell'ambito del "penalmente rilevante" anche le condotte di chi, pur non essendo organico all'associazione (non facendone stabilmente parte), abbia fornito - anche solo occasionalmente - un contributo causalmente rilevante alla esistenza ed operatività di essa, ovvero al raggiungimento delle sue finalità, con ciò esponendo ugualmente a pericolo di lesione il bene protetto, l'ordine pubblico.
Deve aggiungersi che la distinzione tra le due figure non è meramente quantitativa: andrebbe qualificato senza dubbio come contributo di partecipazione quello del soggetto cui, nell'ambito del sodalizio, sia stato attribuito un ruolo, pur se non abbia mai avuto occasione di attivarsi (si pensi all'appartenente alle forze dell'ordine incaricato di riferire le notizie riservate di interesse del sodalizio, che non si sia in concreto attivato perché nell'ambito territoriale di sua competenza non abbia mai avuto conoscenza di simili notizie); al contrario, andrebbe qualificato, ancora una volta senza dubbio, come contributo concorsuale "esterno" quello del soggetto extraneus, sulla cui disponibilità il sodalizio non possa contare, ma che sia stato in più occasioni contattato per indurlo a tenere determinate condotte agevolative, di volta in volta concordate sulla base di autonome determinazioni (si pensi all'appartenente alle forze dell'ordine con il quale sia stata, in più occasioni, ma con autonome determinazioni, negoziata la rivelazione di singole notizie riservate).
….”.
E va aggiunto come i citati insegnamenti (già ben delineati da Cass. II n. 17894/2014 e Cass. II n. 53675/2014, quest’ultima emessa in procedimento istruito da questo Ufficio a carico del sindaco di Melito P.S.) siano sempre più consolidati nella giurisprudenza di legittimità, per come insegna da ultimo Cass. II n. 49093/2015 (peraltro, emessa a conclusione del procedimento istruito da questo ufficio a carico dell’imprenditore Annunziata) e per come emerge anche nelle occasioni in cui la Suprema Corte è stata chiamata a delineare i principi di diritto regolatori dell’istituto, confrontandosi con fenomeni associativi, diversi da quelli storicamente operanti a partite dal territorio meridionale (cfr. sul punto Cass. VI n. 24535/2015, emessa nel procedimento noto come “Mafia Capitale”).
I citati orientamenti giurisprudenziali sono espressione di un mutato atteggiamento culturale nei confronti del fenomeno criminale descritto all’art. 416 bis c.p. che tiene in debito conto la straordinaria capacità delle associazioni tradizionali di restare longeve ed efficaci nel tempo. E non è un caso che la gran parte delle citate pronunce della Suprema Corte abbiano ad oggetto indagini svolte nei confronti di esponenti della ndrangheta. Quest’ultima, infatti, è l’organizzazione criminale che, in maniera più subdola, vischiosa e pervasiva, ha dimostrato una speciale, quanto camaleontica, capacità di infiltrarsi nei sistemi di potere sociale.
Ma va precisato come il citato orientamento giurisprudenziale sia pienamente coerente al dettato normativo e finisce, anzi, per dargli piena compiutezza. Ed infatti, il comma 3 dell’art. 416 bis c.p., nel descrivere che cosa è l’associazione mafiosa, individua il suo tratto caratteristico, per un verso nella realizzata (e non già semplicemente programmata) capacità d’intimidazione che, incutendo un timore vasto ed amplificato, genera assoggettamento ed omertà su una generalità di consociati; per altro verso, nella strumentalizzazione degli equilibri e relazioni sociali così distorti a suo vantaggio, al fine di accaparrarsi o influenzare i sistemi di potere che reggono le società democratiche moderne: l’economia, la pubblica amministrazione, la politica.
Appare evidente, perciò, come le condotte di soggetti stabilmente orientati ad agevolare l’infiltrazione delle cosche in tali settori, debbano essere giudicate alla stregua di quelle di coloro che, stabilmente, si dedichino a perpetuare il generale clima d’intimidazione. D’altronde, il legislatore aveva esattamente colto come senza le prime, tali ultime condotte non sarebbero affatto idonee a rendere le associazioni mafiose così insidiose e pervasive. Insomma, senza le condotte di aggressione o interferenze con i sistemi di potere che reggono la società moderna, le associazioni mafiose potrebbero essere parificate a quelle semplici, punite ai sensi dell’art. 416 c.p..
Ed appare sempre più evidente come sia proprio la componente riservata, coperta, massonica, o come altro la si voglia definire, interna alla ndrangheta la cui esistenza viene ipotizzata nella sentenza META già richiamata – che spesso si interfaccia con coloro i quali, a livello locale, ma con capacità d’interlocuzione nazionale, compongono stabilmente i comitati d’affari ed i gruppi di potere paralleli a quelli legali, che le recenti indagini in tema di corruzione sistemica, svolte da molteplici Procure della Repubblica italiane (da Roma a Milano, da Venezia a Firenze, ecc.) dimostrano essere specialmente attivi e dediti alla gestione autentica, quanto subdola ed occulta delle principale dinamiche di governo dell’economa e della politica - a costituire una struttura di potere di cui l’associazione di tipo mafioso si giova, anche per garantirsi la sua longeva esistenza. E non solo; grazie all’infiltrazione nei sistemi di governo sociale, garantiti dalla citata “borghesia mafiosa”, la ndrangheta ha accentuato il suo progressivo baricentrismo che la fa percepire dalla collettività quale efficiente agenzia di servizi a cui rivolgersi per risolvere le più svariate problematiche e su cui investire (su un piano relazionale) le proprie aspettative future.
Ma le relazioni tra la porzione associativa dedita all’intimidazione e quella dedita all’infiltrazione non sono consacrate da patti scritti e - di solito - anche i semplici contatti relazionali tra le due componenti non sono mai ostentati, piuttosto debitamente celati e garantiti da speciali prudenze, volte ad eludere le investigazioni (e, nella presente indagine, tale circostanze emergerà chiarissima, in relazione alle speciali cautele che saranno adottate per evitare che lo ndranghetista dedito all’intimidazione sociale: il Marcianò, ed il soggetto dedito all’infiltrazione nei sistemi di governo sociale: il Romeo, abbiano una relazione visibile e controllabile dalla PG). Si tratta, insomma, di una prova specialmente complessa, anche perché tali relazioni sono spesso gestite tramite soggetti che svolgono un ruolo di diaframma relazionale (nella presente indagine, in relazione al duo Marcianò – Romeo, questo ruolo è svolto dal Chirico che costituisce anche la concreta materializzazione dell’investimento criminale posto in essere), volto a tutelare dal diretto contatto inquinante colui che è chiamato a favorire l’infiltrazione per conto della cosca. Spesso, poi, la complessità di tali rapporti ed il potere oggettivo accumulato da tali soggetti, li pone in una posizione dominante della relazione, al punto da giustificare la conclusione - proposta da questo Ufficio ed accolta dal locale Tribunale collegiale, nella citata sentenza n. 712/2014 emessa nel procedimento n. 7734/2010 RGNR DDA (cd. operazione Meta) - che vuole la componente intimidatrice della ndrangheta gerarchicamente sottordinata a quella che diventa garante dei sistemi di infiltrazione e protezione dell’associazione.
Infine, non va taciuto un profilo immanente ad ogni indagine, qual è la presente, che voglia comprendere l’inserirsi delle dinamiche di ndrangheta in interi settori di mercato. La comunità reggina è assoggettata ed indotta all’omertà - prima che da limiti culturali - da anni di costante intimidazione sociale, segnata da una spaventosa guerra di mafia, esitata con centinai di morti annui. Sono davvero pochi i cittadini reggini - in età della ragione durante la guerra di mafia - a non avere visto un morto ammazzato per strada (e si è ucciso anche con veri e propri assalti di guerra a colpi di bazooka, esplosivo piazzato nelle autovetture ovvero con fucili di precisione che colpivano il bersaglio a centinaia di metri, persino se la vittima era detenuta nel carcere cittadino) o a non essersi svegliati per il boato di assordanti esplosioni notturne. E’ evidente, perciò, come gli esponenti della ndrangheta, specie quelli a cui la storia criminale e socio-politica della città riconosce una speciale autorevolezza, non debbano esasperare i profili intimidatori. E’ sufficiente, infatti, che questi siano accennati, evocati, racchiusi in fumose allusioni, talvolta, persino, evaporati in artificiose blandizie ed attenzioni. L’interlocutore, infatti, prima ancora di relazionarcisi concretamente ha già ben chiaro chi sia e cosa rappresenti – alla luce della storia criminale della città – il latore dell’intimidazione dolce che gli viene rivolta… (Nonostante gli sforzi giurisprudenziali, non si comprende bene quando il soggetto - vedi il signor Plutino ancora in carcere per concorso esterno, accusato dall’ex consigliere regionale Giovanni Nucera, senti chi parla? – per una tanica di benzina caduta probabilmente da un balcone del palazzo dove abita l’ex, è agguantata con facilità dal suo autista e scaraventata per terra… dov’è il concorso? NDR).

Dr Giuseppe Lombardo, stia sempre attento e guardi continuamente dietro l’angolo. Lei sa che l’operazione “Meta” sia stata definita da me prima e da Lei dopo “Metà”.
PER NON DIMENTICARE
CANDIDATO ALLA PRESIDENZA CON IL CENTRODESTRA GIUSEPPE SCOPELLITI

"Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla Magistratura, è un uomo onesto. No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali”. (Paolo Borsellino) Il sindaco di Reggio Calabria Scopelliti ha di recente ammesso, in un interrogatorio dinanzi al pm della Dda di Reggio Giuseppe Lombardo, di conoscere ed aver frequentato Antonino Fiume, killer della potente cosca De Stefano. «Conosco Giuseppe Scopelliti, in quanto ho appoggiato politicamente lo stesso». È la frase pronunciata dal pentito Nino Fiume, l’ex killer dei De Stefano che aveva dichiarato in aula di aver sostenuto il sindaco nelle varie campagne elettorali. Scopelliti, interrogato dal pm ha dichiarato: «Conosco Fiume. Come tutti i ragazzi di questa città, negli anni ottanta frequentavo l’unica discoteca che c’era a Reggio, il Papirus. Era un gruppo ampio ma sempre circoscritto. Ci si conosceva un pò tutti. È stata una frequentazione estiva e casuale. Lo ricordo perché era tra quei ragazzi con cui ci si salutava e si scambiava qualche battuta. Non c’è stata nessuna frequentazione. Attraverso i giornali ho appreso che lui era vicino ai De Stefano e che era legato alla figlia di Paolo De Stefano. Mai parlato di politica con Fiume. Ho appreso dai giornali che faceva campagna elettorale per me». A detta di Scopelliti, quindi, i suoi rapporti con Fiume si sarebbero fermati agli anni ‘80 quando erano circoscritti alla discoteca. E se da una parte ha sostenuto di non aver mai discusso con Fiume di politica, dall’altra ha affermato che, «probabilmente, è stato uno di quelli che diceva di votarmi». Come avrebbe fatto Fiume a comunicare il suo sostegno a Scopelliti se non lo ha mai visto in epoche successive alla serata del Papirus? E’ la domanda con cui il pm Lombardo ha sottolineato la contraddittorietà del discorso di Scopelliti che si è limitato a rispondere : « L’ho incontrato per caso in discoteca. Pino Scaramuzzino lo conosco per gli stessi motivi di Fiume con la differenza che lui è un operatore turistico della città. E’ il proprietario dell’Oasi. Qualche volta ho parlato di politica con Scaramuzzino nel 1995-1996. Credo siamo amici, li ho visti soltanto nella circostanza del locale». (Su questo si veda Gazzetta del Sud, Calabria Ora e Il Quotidiano del 25 novembre2009). Scopelliti, inoltre, quale sindaco di Reggio Calabria, è stato condannato nel novembre 2009 dalla Corte dei Conti a risarcire l’erario per 1.300.000 euro, in solido con un tecnico comunale, per via di una ex fabbrica per la lavorazione degli agrumi, “Italcitrus”, che il Comune di Reggio Calabria ha acquistato per 2.500.000 euro al fine di trasformarla in un centro di produzione della Rai. La Corte dei Conti ha accertato che il prezzo di acquisto era doppio rispetto ad una precedente valutazione realizzata dal Tribunale di Reggio Calabria in un altro procedimento. Scopelliti, inoltre, nel novembre scorso è stato rinviato a giudizio dal gip di Reggio Kate Tassone per . nfine, per il 13 aprile prossimo è prevista la requisitoria del Pm nel processo che vede Scopelliti ed il suo assessore comunale Caridi accusati omissione di atti d’ufficio per non avere posto in essere adeguate azioni di programmazione, controllo e vigilanza in ordine allo smaltimento del percolato originato da una discarica. Secondo l’accusa, Scopelliti e Caridi non avrebbero provveduto alla bonifica e messa in sicurezza della discarica, vero pericolo per la città di Reggio Calabria a causa della presenza di rifiuti pericolosi e per l’ingente percolato (il liquido prodotto dalla sedimentazione dei rifiuti organici) mai smaltito. Sempre per l’accusa, la situazione appariva ancora più grave per la presenza nelle vicinanze della discarica di una scuola elementare.
4/Continua.
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