Mamma che Mamma Santissima (parte III)
- Francesco Gangemi
- 28 ago 2016
- Tempo di lettura: 20 min

L’operazione “META”, abbiamo convenuto dr Giuseppe Lombardo, che il processo celebrato sia stato a “META’”. In quel processo il Colonnello Giardina, affermò che Giuseppe, detto “lo scortato”, fosse a capo di una cupola politico/mafiosa. La reazione sciocca di Scopelliti non mi sembra sia stata censurata dalla Procura. Anzi, ne uscì indenne. Dr Lombardo, si legga, se non l’abbia già fatto poiché credo sia utile alle indagini che Lei sta conducendo, le dichiarazioni del mafioso MARTINO riasciate nell’ambito del p.p.n. n.r.. GIP n.9189/08 – 3762 rgnr, udienza del 17.03.2011, presso il Tribunale di Milano. Le trascrivo, dr Lombardo, soltanto qualche stralcio che presumo molto importante soprattutto per l’incidenza che “Il Dibattito” abbia avuto in quel processo.

“ omissis (ndr)… perché io conosco l'Hollywood, come Lei ben sa, conosco tanti altri posti. GIUDICE - Piccola parentesi, ma i rapporti con Mora sono per...? INDAGATO MARTINO - Dottore, allora, Mora, ai tempi, giusto?, ma con tutto ciò io non rinnego l'amicizia, e le spiego anche perché, Mora ai tempi era Mora, il primo agente. No, io l'ho conosciuto perché conoscevo Stefano Trabucco, giusto?, quindi ci siamo incontrati, mi ha voluto conoscere e abbiamo iniziato questo rapporto, con tante persone. Un bel giorno vengo chiamato dal sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti. GIUDICE - Altra cosa che ha scritto "Il Fatto". INDAGATO MARTINO - "Il Fatto".GIUDICE - Non so se l'ha letto.INDAGATO MARTINO - Si, sì, l'ho letto. Eh, non l'ho letto adesso, l'ho letto nel 2006. AW. AUGIMERI - Sì, era già stato scritto all'epoca. INDAGATO MARTINO - ,%I1 dibattito" di Reggio Calabria l'aveva già pubblicato. AVV. AUGIMERI - L'articolo, sì.INDAGATO MARTINO - Dice: "Sai, c'è Peppe che ti vuole incontrare urgentemente, ha bisogno di te", io ho detto: "Va beh", al Bit. Vado al Bit: "Peppe, che c'è?". Ecco perché, ci conosciamo, sappiamo tutti, conosco lui, suo fratello Rino, suo fratello, l'altro, Francesco, che a Como, è assessore a Como, conosco tutti, ma conosco perché, non perché sono un mafioso, perché sono una persona perbene (? Ndr), e tutta Reggio lo può testimoniare, anche se sanno tutti dei miei precedenti penali purtroppo. "Beh, Peppe, che hai, che succede?", dice: "Sai, Paolo, ho bisogno di una cortesia". "Eh, va beh, cosa faccio?". "Eh, sai, abbiamo intenzione di fare qualche cosa di eccezionale per Reggio questa stagione, la prossima stagione", perché eravamo in gennaio, "fare questa cosa, quindi vorremmo fare... hai qualche amicizia, qualche cosa?". "Eh, ma che vuoi fare? Non ho capito". "Eh, se possiamo portare qualcuno, qualche personaggio di spettacolo, cose e compagnia bella". Io sono un po' geloso di dire a uno: "Sai, io conosco questo, conosco quest'altro", sono fatto un po' così, e, appunto, le persone mi stimano. Dice: "Sai, mi hanno detto, sarebbe per me il massimo poter incontrare Lele Mora, perché lui ha la possibilità, mi hanno detto, questo e quell' altro", io, beh, erano le 12, "Io, scusa, beh, che devi fare tu?", dice : "Alle 2 e mezzo ho 1'aereo". "Aspetta un attimo", prendo il telefonino, telefono a Lele Mora: "Dove sei?", "In ufficio". "Ho bisogno di te". "Ti aspetto". GIUDICE - Questo qui a Milano? INDAGATO MARTINO - A Milano, al Bit, io telefono dal Bit in ufficio da Lele Mora in Viale Monza. "Ti aspetto". "Peppe, andiamo", dice: "Dove?", io: "Non volevi incontrare Mora?", dice: "Di già?", "Eh, non ti ho detto niente, ma è un amico mio", dice: "Ma sei sempre il solito. Andiamo". Allora, partiamo: Giuseppe Scopelliti, sei uomini della scorta della DIA, sei uomini della scorta della DIA, perché Peppe Scopelliti è sempre stato scortato, la mafia a l'ha minacciato a Reggio Calabria (una cazzata organizzata da tale Laganà dei servizi tutt'altro che segreti NDR), Lei sa, Dottore, cose, quello che è finito contro la 'ndrangheta, cose, fa rumore, eh quello. Arriviamo lì, ci sediamo in ufficio, io dico: "Lele, oltre ad essere sindaco di Reggio Calabria è un amico mio. Però la cosa importante è che ti sto portando una persona che ti porta lavoro, cerca di fare un qualche cosa di interessante insieme". Si mettono d'accordo che avrebbe proposto il torneo dei VIP, che lui tutti gli anni faceva in Costa Smeralda, dice: "Guardi, io vengo a Reggio Calabria". "Sì, sarebbe ospite, sarebbe questo, sarebbe quello", le solite cose, "Le mando ì biglietti", dice: "No, io tengo l'aereo personale e scendo con l'aereo personale, mi porto un po' di quelli che dovranno scendere giù". Insomma, arrivano a Reggio Calabria, ritorno di... dice: "Ma scendi pure tu", dico: "No, non scendo", non m'interessa", io il protagonista, oppure l'effervescente,oppure il palcoscenico, non mi hanno mai interessato, Dottore. Scendono, tornano. Dice: "Paolo, bellissima accoglienza", l'ho fatto accogliere dal dottor Montesano nel castello (ine.) sul mare, posto eccezionale. San Giorgino d'Oro, ma non per... perché non lo facevano per me, lo facevano per lui, perché Lele Mora era Lele Mora, è giusto quello che... Torna, dice: "Paolo, come stanno le cose?". "Stanno le cose che io... è una cosa bellissima, va bene, però queste persone", ce n'erano tre o quattro del suo staff, allora famosissime, dice: "non mi garantiscono che loro ci saranno", perché era una manifestazione dal 10 agosto fino al 22, cioè nel clou della... dice: "Questi se ne vanno al coso, io non posso fare queste figure con te e col sindaco perché sono professionale, purtroppo devo rinunciare. Eh, purtroppo ci sono problemi, questo...", dice: "Ma come problemi, ma, vedi, cerchiamo di sistemarli, fammi la cortesia", questo e quell'altro. Peppe sale a Milano, dice: "Domani sono a Milano e devo andare...", non so dove. Sale a Milano, dice : "Paolo, che figura che mi hai fatto fare", questo e quell'altro, dice: "Io ho già parlato con tutti di questa cosa, come faccio?", io: "Ma scusa, Peppe, ma fammi una cortesia, ma qual è il tuo interesse in questa cosa? Troviamo un altro". Dice : "Paolo, bisogna fare qualche cosa, se no questo rimane sempre {ine,), cosa, ma io, lo sai, perdo la mia figura". Avevo capito, Dottore. Allora, il professore Falcomatà, l'ex sindaco di sinistra, grande amico mio, e l'avvocato lo può testimoniare, perché nel '98 quando sono uscito dal carcere di Reggio Calabria lui mi voleva portare... io: ''Avvocato, mi faccia la cortesia, mi accompagni in aeroporto", quando sono arrivato all'aeroporto c'era il professor Falcomatà, per dirle che sono apartitico, ha lasciato la scorta, si è abbracciato, si è commosso, dice: "Mi commuovo a vedervi qui". "Io sto andando a trovare mio figlio. Vi auguro tutto il bene possibile". È morto. Questa figura carismatica di Falcomatà lui non poteva superarla, se non si accollava innanzitutto la base, cioè i giovani, creare un qualche cosa di veramente eccezionale. Questo è il motivo di questa sua cosa, l'avevo capito. Era una cosa che si poteva fare. Dico: "A te io lo sai che non ti faccio fare mai cattiva figura". Io non sono stato mai suo elettore, non ho mai fatto voto di scambio, perché non si doveva permettere nemmeno a dirmi queste cose, sia ben chiaro. Una persona quando è un amico è un amico, e poi ricopre una carica politica, punto. Non ho mai chiesto una cortesia e non lo farò mai. Lui mi ha chiesto questa cortesia. Arriviamo da Lele Mora, c'era anche sua moglie, la moglie del sindaco, l'avvocatessa. Non mi ricordo come si chiama. Arriviamo lì: "Lele, spiegagli i motivi al sindaco e all'avvocatessa, perché deve capire perché non (ine.) a da Reggio Calabria", e gli spiega, dice: "Non è che non vogliamo venire, è il periodo, perché questi vogliono stare lì in questo (ine.)", dice: "Purtroppo io non posso fare una figura, che porto...", ci volevano ventiquattro persone, dei VIP, per fare questi tornei di calcio lì al centro sportivo di Reggio Calabria, dice: "Me ne mancano quattro o cinque, che faccio, a chi metto, mi metto io a giocare?". Giustamente dice: "Ma io", questo, e quell'altro, "ma come faccio, adesso faccio cattiva figura. Se è una questione di soldi Lei mi dica". "Cioè forse non hai capito nulla. Ti ricordi il discorso che gli ho fatto all'assessore, a Sibari?". Eravamo seduti lì al tavolo a mangiare insieme alla scorta, questo Sibari arriva, dice che lui ha avuto come ospite Valeria Marini e le ha dato 60.000 Euro per una serata, non una serata, mezz'ora sul palcoscenico. Ho detto io : "Ma vi ha trattato di lusso! Scusate, se io .ve la mando domani mattina, ve la faccio mandare, perché io non la conosco, ve la faccio mandare domani mattina per 5.000 Euro?". "Eh, no, com'è questo?", "io ve la faccio mandare per 5.000 Euro, non per 60. E le avete dato a questa buzzigona 60.000 Euro? Ma che state a dire?". Quindi il tutto si porta affinché la casse già... GIUDICE - Esangui. INDAGATO MARTINO - Esangui. Infatti, infatti, io discussioni con vsto Lele, "Andiamo", infatti, dico: "Senti, Lele, guarda, adesso, guardami negli occhi, ho bisogno di te, un qualche cosa di eclatante, perché Reggio Calabria ha una gioventù eccezionale, e questo deV essere riportato in prima serata su tutte le emittenti Rai TV e private, perché Reggio Calabria non è solo criminalità organizzata o cronaca nera. Questi giovani, che tu andrai a far vedere, dovranno avere la possibilità di dire al mondo: ''Noi siamo i calabresi, non la parte marcia dei calabresi'". Questo è stata una cosa. . . perché ripeto questo? Perché ho avuto i complimenti dell'avvocatessa presente, che poi ha voluto conoscere a Costantino, l'ex.. . GIUDICE - Ma c'è stato poi un evento a Reggio? INDAGATO MARTINO - Allora, le spiego. Lele che cosa ha risposto? Perché io stimo Lele? Dice: "Sindaco, non dica nient'altro. Paolo mi ha chiesto una cosa che io ho il dovere di eseguire. Mi lasci quindici giorni, io le farò un programma, che faremo qualche cosa memorabile". Infatti che cosa ha fatto? Due serate su RAI 2 di un'ora e mezza in diretta da Reggio Calabria, Daniele Interrante è amico mio, Daniele Interrante è amico mio, amico mio è diventato dopo, perché fino allora no, perché è stata su Italia 1 ha fatto quella trasmissione, non so se voi... quella dove presentano le ultime novità discografiche, no?, circa tre quarti dora, direttamente dal lido di Reggio Calabria, Dottore, non da altri. Quindi ha prelevato questi ragazzi, queste cose, giustamente al sindaco gli ha portato questa cosa. Dopodiché cosa hanno fatto? Pure "La notte bianca" a Reggio Calabria, siamo andati a finire sui giornali, io sono stato l'ideatore di questa cosa. Cioè il travisamento dei fatti, non volevo dire grazie a nessuno perché l'ho fatto... ci ho rimesso non ha idea quanto, perché tra pranzi, tra cene e compagnia bella giustamente io ci ho rimesso anche una cosa, che ci ho un debito di uno, dico: "Fammi una cortesia", uno di questi personaggi, perché mi ha chiesto questa cortesia. Questo è stato il mio dramma. Lele Mora è stato questo per me. Lele Mora, c'erano i miei figli, dopo le vicissitudini che ha avuto, Vallettopoli e compagnia bella, sono stato l'unico a essere a fianco lui. L'avevano (ine). Io e Lele, ah, QUANDO SIAMO USCITI SUI GIORNALI, QUANDO SIAMO USCITI SUL GIORNALE "IL DIBATTITO", UN GIORNALACCIO,CHE ADDIRITTURA ANCHE LA PROCURA DISTRETTUALE ANTIMAFIA DI REGGIO CALABRIA, IL DOTTOR MOLLACE, LO DIPINGONO, COME SCRIVE QUELLO, CANGEMI "QUELLO CHE ONORA LA MAGISTRATURA DI REGGIO CALABRIA", UNO DEI TANTI”.
Don Ciccio e Martino onorano la magistrata di Reggio Calabria. Non ha torto, il mafioso (NDR)!

“Ed ancora. Il Tribunale Ordinario di Reggio Calabria, nell’articolata motivazione della sentenza n. 712/2014, emessa in data 7 maggio 2014, a conclusione del giudizio celebrato con le forme del rito ordinario nel procedimento n. 7734/2010 RGNR DDA (cd. operazione Meta), oltre a ribadire la struttura unitaria della ndrangheta reggina, riferiva in merito alla presunta esistenza di una componente “riservata”, gerarchicamente sovraordinata e, sul punto, osservava:”.

Dr Lombardo, dica al popolo bue per quali oscuri motivi Giuseppe Scopelliti non sia stato arrestato e condannato in quel processo a “META’’’ (NDR)?

Alla luce del sopra esposto materiale istruttorio, complesso ed articolato, si può affermare che nell’ultimo decennio si è progressivamente consolidato nel territorio cittadino – ricompreso tra Villa S. Giovanni e Pellaro – con particolare riguardo alle attività predatorie di tipo estorsivo

ed al settore degli appalti, un nuovo assetto criminale caratterizzato dalla nascita di un organismo verticistico di livello superiore rispetto alle singole cosche territorialmente competenti, che pur conservano la rispettiva operatività, composto da persone dotate di peculiare prestigio criminale, strutturalmente autonomo con poteri normativi cogenti e di intervento all’interno di tutto il mandamento di centro, al di là dei confini territoriali tradizionali delle zone di influenza delle singole consorterie.
A partire dall’indomani della raggiunta “pax mafiosa” (e quindi dalla seconda metà del 1991 – ndr), ferma restando l’autonomia interna delle storiche cosche reggine, gli equilibri criminali reggini si sono lentamente e progressivamente sviluppati in senso unitario e piramidale, sì da dotare la struttura “‘ndranghetistica” di nuove regole e meccanismi automatici di operatività, per prevenire ed evitare l’insorgere di conflitti, garantendo in tal modo la conservazione dell’esistenza stessa dell’associazione mafiosa complessivamente considerata, mediante un processo evolutivo di accentramento del potere decisionale nelle mani di pochi grandi capi, così da poter determinare “a monte” le decisioni vincolanti, irradiandole a pioggia verso i livelli inferiori di siffatta struttura gerarchica, da un lato, e sì da poter relazionarsi con ambienti più elevati di tipo politico ed istituzionale, dall’altro lato, i cui soggetti, allo stato, sono in corso di esplorazione investigativa.
La “superassociazione” composta dai vertici delle consorterie mafiose più potenti della città di Reggio Calabria, venutasi a creare mediante la “ricompattazione” di coloro che prima della guerra di mafia erano “amici” e, dopo essersi scontrati in un devastante conflitto a fuoco, si sono riavvicinati determinando il formarsi di nuove alleanze – secondo le propalazioni di FIUME Antonino, corroborate dalle altre emergenze probatorie in atti e sopra ripercorse – deve propriamente configurarsi non in termini di “confederazione” associativa né in quelli di fusione tra cosche, bensì quale associazione vera e propria dotata di autonoma esistenza sul piano ontologico, giuridico e strutturale.
Invero una confederazione dovrebbe comprendere i rappresentanti di ogni cosca insistente sui vari territori di influenza del mandamento di centro e così non è. Parimenti una confederazione composta dai capi delle quattro principali consorterie reggine DE STEFANO – TEGANO – CONDELLO –LIBRI,


avrebbe un potere decisionale vincolante solamente con riguardo alle rispettive cosche di appartenenza, rappresentate dai contraenti che hanno partecipato all’accordo.
Né tantomeno può parlarsi di fusione tra cosche, atteso che è emerso chiaramente che ciascuna consorteria conserva la propria autonomia strutturale ed operativa di controllo sulla zona di influenza, benché tutti siano tenuti a rispettare le nuove ferree regole imposte dall’alto e comunemente conosciute ed accettate.
Trattasi – per come si desume in via logico – deduttiva dall’analisi coordinata delle complessive acquisizioni processuali – di un organismo decisionale, che costituisce esso stesso un’autonoma e diversa associazione ex art. 416 bis c.p., collocata ad un livello gerarchicamente superiore rispetto alle singole cosche, che ha assunto la direzione, regolamentazione, organizzazione delle attività criminali, innanzitutto ordinarie, dell’intero mandamento di centro. Questo nuovo organismo associativo di vertice ha un potere normativo cogente in grado di stabilire regole dotate di unanime riconoscimento e validità, che automaticamente vanno applicate da tutti, imprenditori e ‘ndranghetisti, parenti e amici, e interviene mediante un potere coercitivo e punitivo, allorché questo automatismo incontra ostacoli di funzionamento sì da ripristinare l’ordine (è emblematica a tal riguardo la vicenda relativa alla tentata estorsione in danno di FRASCATI, contestata specificamente al capo B).
Siffatta entità autonoma, formata da soggetti di carisma criminale superiore, che viene riconosciuta oltre le cosche da cui promanano, rappresenta l’approdo di un lungo, progressivo e complesso processo evolutivo, che ha trovato il punto di svolta e di assestamento nel conferimento del “Crimine” a Giuseppe DE STEFANO (v. infra).
A partire dai riferimenti all’unitarietà della ndrangheta individuati nelle sentenze che ormai fanno parte del notorio giudiziario, da quella del 1970 sul summit di Montalto alle sentenze “Bellu Lavuru” ed “Armonia” sino alle sentenze “Olimpia”, ai più recenti approdi raggiunti con il processo c.d. “il Crimine”, si sottolinea come, nonostante la stabilità della suddivisione orizzontale delle famiglie di ndrangheta, i vertici di tale struttura cellulare hanno progressivamente riconosciuto l’esigenza di regolamentazione dei rapporti reciproci e di coordinamento dei rispettivi interessi, facendo ricorso, dapprima, a strutture temporanee quali la convocazione di tribunali di mafia, “summit”, convocazioni rituali dei vertici delle cellule ‘ndranghetiste, e via via preso atto della indispensabilità della creazione di organismi stabili costituiti da cerchie ristrette di coordinamento e di indirizzo per superiori esigenze di coordinamento e regolamentazione.
Del pari dalle sentenze “Rifiuti” e “Testamento” emergono le alleanze venutesi a determinare tra le cosche CONDELLO e LIBRI, nel primo caso nell’ambito del settore degli appalti per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con il previo accordo di DE STEFANO Giuseppe.
E questo iter di progressivo avvicinamento tra cosche un tempo contrapposte non poteva non essere segnato anche da importanti momenti di fibrillazione, dall’omicidio di Audino Mario, consumatosi all’interno delle fila teganiane, alle frizioni tra Orazio ed il nipote DE STEFANO Giuseppe, alle lamentele dei ROSMINI, in quanto passati in secondo piano allorché il baricentro del potere dei CONDELLO (famiglia storicamente alleata con i Rosmini) si è spostato in direzione dello schieramento destefaniano.
La superiorità criminale dei DE STEFANO ed in particolare di DE STEFANO Giuseppe, che mutua e perpetua il carisma criminale del defunto padre DE STEFANO Paolo (anche con riferimento al suo ruolo di vertice della SANTA – n.d.r.), viene confermata non solamente dalle dichiarazioni di un intraneo al medesimo sodalizio, vicinissimo a DE STEFANO Giuseppe, ovverossia il collaboratore FIUME, ma, altresì, risulta corroborata dagli esiti dell’attività captativa relativa a CHIRICO Angelo Gaetano, allorché dichiara che “tutto parte da là… danno l’ordine da là… tutto ruoto intorno allo stesso perno… intorno ai DE STEFANO… se quelli gli cercano conto glielo devono dare…”. Il “perno” di cui parla CHIRICO coincide esattamente con “la fonte” alla quale MESIANO Carlo sa di doversi rivolgere per “mettere tutto a posto” in ordine al lavoro da eseguire in via del Torrione, come, poi, confermatogli da Giorgetto De Stefano.
Ed ancora tale potere che promana dall’alto in modo cogente emerge, altresì, dalle intercettazioni in casa Pelle, allorché Ficara Giovanni dichiara che anche per un semplice “mal di testa” bisogna rivolgersi ai San Giovanni, ovverossia ai DE STEFANO con cui intrattiene un rapporto di comparato.
Inoltre, si verifica la successione ereditaria da LIBRI Domenico (deceduto il 1 gennaio 2006) al fratello LIBRI Pasquale, nel ruolo di garante del rispetto delle regole, tant’è che quando occorre rivolgersi ad “Archi” – come in più occasioni manifestato da Buda Pasquale, Passalacqua Domenico, Barbieri Domenico ed altri componenti delle cosche villesi per la risoluzione di problematiche e conflitti, ad ulteriore riprova dell’extraterritorialità di siffatto organismo di vertice – non può non essere necessaria anche la parola di LIBRI Pasquale, che fa parte della medesima struttura sovraordinata, non potendo essa comandare sull’intero mandamento senza il benestare di colui che incarna la perpetuazione nel tempo di quelle regole basilari di rispetto imposte a suo tempo dal defunto germano Mico LIBRI (cfr. intercettazione progr. 2660 del 12.01.2007 RIT 1858/06).
Emerge, altresì, il ruolo apicale di TEGANO Giovanni, affermato univocamente da tutti i collaboratori escussi ed in primis da un intraneo all’omonimo sodalizio, Moio Roberto, il quale lo definisce un “Mammasantissima” (riconoscimento che spetta ai soli componenti della SANTA – n.d.r.), ed ancora Villani lo qualifica come un “capo in testa” al pari di CONDELLO Pasquale, avendo essi acquisito prestigio criminale per i meriti maturati sul campo, essendo poi successiva ma più rapida l’ascesa di DE STEFANO Giuseppe, più giovane degli altri. TEGANO Giovanni viene collocato al vertice della <<ndrangheta cattiva>> da Villani ed a capo della <<ndrangheta che comanda>> da Lo Giudice Antonino, come colui che aveva voce in capitolo nell’ambito della superassociazione di cui parla FIUME, unitamente a Giuseppe DE STEFANO, CONDELLO Pasquale e LIBRI Pasquale. In particolare Giovanni TEGANO aveva sempre rivestito il ruolo di “vecchio saggio”, col quale si consultava già in passato Paolo DE STEFANO.
La sua posizione ed il ruolo criminale di vertice risultano attualizzati dalle propalazioni dei recenti collaboratori di giustizia (Moio, Villani, Lo Giudice), nonché dagli esiti dell’indagine “Reale”, allorché Ficara Giovanni, nel contesto in cui parla del ruolo apicale della famiglia DE STEFANO, fa riferimento a “compare Gianni, il paciere”, sì da riscontrare perfettamente il narrato dei collaboratori ed in particolare di Villani sul punto, allorquando dichiara che era un “personaggio che metteva pace”. In chiave di attualizzazione del ruolo di anziano saggio della superassociazione in esame deve leggersi anche il contenuto dell’intercettazione del 19.11.2007 progr. 42007, laddove MORABITO Bruno riferisce di essere stato seduto allo stesso tavolo di TEGANO Giovanni, definendolo, nonostante gli scontri del passato, sempre e comunque un “signore” che è andato a salutarlo baciandolo, proprio nel contesto in cui, viceversa, si affacciano le frizioni tra i CONDELLO e gli storici alleati appartenenti alla famiglia FONTANA, quale ulteriore ed ennesima conferma del mutamento degli equilibri criminali in città.
Le tendenze evolutive emerse in altri procedimenti trovano, quindi, consolidamento, conferma, strutturazione ed attualizzazione proprio alla luce delle emergenze di questo processo, allorché, da un lato, si perviene alla cattura del latitante CONDELLO Pasquale all’interno di un’abitazione sita in Pellaro via Torrente Filici II, in un territorio storicamente soggetto al potere di controllo del contrapposto schieramento destefaniano, dall’altro lato, il giovane DE STEFANO Giuseppe, che “ha cambiato tutte le regole… per cui ora non si va più in giro… il vestito te lo pago… ma a fine mese mi restituisci tutto con gli interessi… ” - come riferito da Chirico a Pellicanò (cfr. conversazione di cui al progressivo n. 8 del 12.12.2006) - nel 2001 viene investito della carica di “CRIMINE” (cfr. sul punto le dichiarazioni di FIUME, altamente attendibili, essendo in possesso di un patrimonio conoscitivo privilegiato in ragione della parentela e del ruolo rivestito all’interno della famiglia DE STEFANO), con il previo placet di CONDELLO Pasquale, che gli colloca al fianco come braccio destro operativo CONDELLO Domenico, detto “gingomma”.
Il consolidamento di quanto in nuce emerso in altri procedimenti con riguardo, purtuttavia, solamente a limitati settori specifici di interessi economici, passa altresì attraverso le recenti collaborazioni di LO GIUDICE, VILLANI e MOIO, che hanno fornito una chiave di lettura attualizzata dei contenuti già espressi da IANNO’ quanto a CONDELLO Pasquale e da FIUME quanto a DE STEFANO Giuseppe.
La strutturazione verticistica con carattere extraterritoriale trova la massima espressione nelle conversazioni intercettate a carico dei componenti delle cosche villesi, che fanno riferimento sempre ad “Archi”, intesa appunto come organismo sovraordinato, per la risoluzione di problematiche che tradizionalmente non avrebbero trovato alcuno sbocco al di fuori della cosca territorialmente competente. Al pari l’imprenditore CRISALLI si “leva il cappello” anche ad Archi, come si vedrà più approfonditamente nel prosieguo.
Il meccanismo delle regole imposte dal nuovo corso della ndrangheta alla “Peppe DE STEFANO”, in chiave più moderna e accentrata, imprenditoriale ed “industriale”, trova la sua emblematica esternazione nella vicenda relativa ai lavori di ristrutturazione del negozio di proprietà di Marino Ugo, allorché costui ha pensato di non dover pagare la tangente estorsiva, essendo vicino alla famiglia Condello, in ragione del fidanzamento della di lui figlia con CONDELLO Demetrio, sì da cagionare una sorta di “incidente diplomatico” che viene risolto grazie all’intervento di DE STEFANO Giuseppe, per il tramite di CONDELLO Domenico, che gli spiega esattamente la regola secondo cui “tutti devono pagare”, emersa in plurime occasioni sia dalle dichiarazioni dei collaboratori che dalle conversazioni oggetto di captazione.
Proprio questa riorganizzazione della ndrangheta in una prospettiva verticistica ed unitaria per quanto attiene al controllo del mandamento di centro – oggetto precipuo di questo processo – consente di superare quella frammentazione tanto lamentata da Giglio Mario nelle intercettazioni captate nell’ambito dell’indagine relativa ai “Lampada – Valle” – proiezione milanese della cosca CONDELLO – allorché denunciava la circostanza che quando un imprenditore del Nord doveva venire a Reggio Calabria per affari era costretto a relazionarsi con tante persone, mentre occorreva individuare un unico referente. E l’accentramento del potere nelle mani di capi di indiscussa caratura criminale, unanimamente riconosciuta, consente all’associazione mafiosa di acquisire forza, potere e prestigio anche nei rapporti con l’esterno.
La pluralità, varietà e convergenza di elementi probatori raccolti e descritti a carico degli odierni imputati, non può certo essere scalfita dalle dichiarazioni generiche e palesemente inverosimili rese da DE STEFANO Giuseppe in sede di esame alle udienze del 31.05.2013 e 7.06.2013, quando costui si è limitato a negare apoditticamente di essere uno ‘ndranghetista ed a riferire di non conoscere la ndrangheta, di non sapersi spiegare il motivo per cui i collaboratori da più parti lo accusino di rivestire un ruolo verticistico in seno alla associazione mafiosa operante nel territorio reggino, di essere odiato da FIUME per averlo messo alla porta, di non aver mai avuto contatti con CONDELLO Pasquale, di non aver mai partecipato ad alcuna riunione in cui fosse presente Fiume, di non conoscere FICARA Giovanni, di non aver mai incontrato un LO GIUDICE, di non aver mai avuto contrasti con lo zio Orazio (contrariamente a quanto emerso dalle dichiarazioni dei collaboratori e dalle intercettazioni sopra riportate), di non sapersi spiegare i contenuti delle conversazioni captate di CHIRICO Angelo Gaetano, pretendendo di sminuire la portata significativa delle di lui affermazioni unicamente per il fatto che costui era un confidente delle forze dell’ordine al pari di Mesiano Carlo.
Appare di palmare evidenza che trattasi di mere negazioni delle accuse mosse nei confronti dell’imputato, perfettamente collimanti tra di loro e corroborate dagli esiti dell’attività captativa, di cui lo stesso DE STEFANO non ha saputo fornire alcuna spiegazione alternativa valida, di talché il solido quadro probatorio venutosi a delineare in nessun modo risulta essere inficiato dalle suddette dichiarazioni da parte dell’imputato, che non hanno trovato alcun supporto né riscontro nell’ambito del vasto e complesso materiale probatorio acquisito in atti.
…omissis…
Ebbene, alla luce di tutto quanto emerso, si può affermare l’esistenza di un nuovo organismo associativo sovraordinato rispetto alle singole cosche territorialmente competenti, in rapporto strutturale e funzionale paragonabile a quello intercorrente tra l’Unione europea ed i singoli Stati membri, organizzato sulla base di ferree regole criminali attraverso automatismi criminali collaudati.
Tale organizzazione risulta:
gestita in prima persona da DE STEFANO Giuseppe, investito del grado di “Crimine” (in proposito vedi le dichiarazioni di FIUME Antonino e di MESIANO Carlo, la vicenda estorsiva ai danni di FRASCATI Demetrio e le affermazioni del CHIRICO Angelo)
approvata e cogestita da CONDELLO Pasquale, attraverso l’azione del cugino CONDELLO Domenico (in proposito cfr. le dichiarazioni di FIUME Antonino, gli esiti del processo “Rifiuti” e del processo “Testamento”, la vicenda estorsiva ai danni del FRASCATI Demetrio)
cogestita da LIBRI Pasquale, che di quelle ferree regole è il riconosciuto garante per essere succeduto in tale ruolo al di lui fratello Mico LIBRI” e che poteva svolgere un proficuo ruolo sul territorio, avvalendosi del fatto che in una certa fase era l’unico degli indagati di vertice a non essere detenuto o latitante e quindi a poter circolare liberamente (al riguardo si vedano gli esiti del processo “Rifiuti” e del processo “Testamento”, le conversazioni tra i componenti della cosca BUDA-IMERTI).
cogestita da TEGANO Giovanni, quale soggetto in posizione apicale unitamente a CONDELLO Pasquale, con il ruolo precipuo di saggio e di paciere, che divide con DE STEFANO Giuseppe i profitti illeciti, coadiuvato dai suoi prossimi congiunti (cfr. sul punto le dichiarazioni dei collaboratori ed in particolare di MOIO Roberto, gli esiti dell’indagine “Reale”, le captazioni a carico di MORABITO Bruno).
Tale fenomeno criminale di aggregazione ha consentito a tali cosche di monopolizzare il controllo delle attività estorsive sull’intero territorio reggino senza cioè il rispetto dei pregressi confini dei vari comprensori e lasciando alle altre cosche una limitata autonomia operativa all’interno dei “locali” storicamente sottoposti al loro controllo. Si è dunque creato un livello superiore della ndrangheta reggina posto per c.d. “a monte” delle altre organizzazioni criminali, per cui è ad esempio accaduto che una cosca come quella dei ROSMINI, che fino ad un certo periodo è stata parte attiva degli assetti spartitori operanti sul territorio cittadino, a seguito dei mutati equilibri, ha finito con l’assumere un ruolo subalterno, rimanendo fuori dai gangli decisionali.
E se gli accertamenti confluiti nella sentenza appena citata, davano conto di come vi fosse nella ndrangheta un gruppo di soggetti, per lo più occulti alla gran parte della restante componente organizzativa, funzionale a garantire il riconoscimento dell’associazione quale soggetto integrato nella classe dirigente cittadina, dell’esistenza di una siffatta struttura si apprendeva dalla viva voce di uno dei massimi esponenti della ndrangheta vibonese che si nutre di storiche e consolidate alleanze con quella reggina.
Ed infatti, nell’informativa del ROS CC n. 55/1-19 di prot. anno 2009 del 16.2.2012 - depositata nei procedimenti n. 3800/2009 mod. 21 R.G.N.R. DDA Catanzaro e n. 11672/2011 mod. 21 R.G.N.R. DDA Salerno - è riportata una conversazione, registrata in modalità ambientale (progr. 10416 e segg., decr. 139/11 Reg. Int., proc. pen. 3800/09 R.G.N.R. DDA CZ) che ha quale protagonista Pantaleone Mancuso cl. ’47 detto “Zio Luni” o “Don Luni”, il quale così si esprimeva:
“[...] LA ndrangheta NON ESISTE PIÙ!... UNA VOLTA, A LIMBADI, A NICOTERA, A ROSARNO, A... C’ERA LA ndrangheta!... LA ndrangheta FA PARTE DELLA MASSONERIA!... [...] DICIAMO... È SOTTO DELLA MASSONERIA, PERÒ HANNO LE STESSE REGOLE E LE STESSE COSE... [...] ORA COSA C’È PIÙ?... ORA È RIMASTA LA MASSONERIA E QUEI QUATTRO STORTI CHE ANCORA CREDONO ALLA ndrangheta!... [...] UNA VOLTA ERA DEI BENESTANTI LA ndrangheta!... DOPO GLIEL’HANNO LASCIATA AI POVERACCI, AGLI ZAPPATORI... E HANNO FATTO LA MASSONERIA!... LE REGOLE QUELLE SONO!... COME CE L’HA LA MASSONERIA CE L’HA QUELLA!...[...] PERCHÉ LA VERA ndrangheta NON È QUELLA CHE DICONO LORO... PERCHÉ LO ‘NDRANGHETISTA NON È CHE VA A FARE QUELLO CHE DICONO LORO... [...] PERCHÉ... UNA VOLTA... ADESSO SONO TUTTI GIOVANOTTI CHE VANNO... VANNO A RUOTA LIBERA SONO DROGATI!... [...] DELINQUENZA COMUNE!... LO ‘NDRANGHETISTA NON VOLEVA FARE DROGA!... [...] COME NON VOLEVA... NON FACEVA MAI UNA LITE... NON FACEVA DROGA... ADESSO SONO QUATTRO DROGATI! [...] PARE CHE UN... UNO CHE FACEVA IL MAGNACCIO, PARE CHE POTEVA STARE NELLA “ROTA”?... [...] O CHE PICCHIAVA LA MOGLIE... O CHE ANDAVA AD UBRIACARSI... NELLE... NON DOVEVA ENTRARE NEMMENO NELLE CANTINE... LO ‘NDRANGHETISTA... PERCHÉ C’ERA IL “MASTRO DI GIORNATA” (carica tipica esistente in seno ad ogni ‘ndrina, la cui esistenza è stata accertata in innumerevoli procedimenti penali, ndr) CHE GIRAVA NEL PAESE... [...] E SE TI VEDEVA CHE ENTRAVI NELLA CANTINA... O CHE BEVEVI VINO... “NSACCAGNATE!...” (botte, ndr)... [...] ANCORA CON LA ndrangheta SONO RIMASTI!... È FINITA!... BISOGNA FARE COME... PER DIRE... C’ERA LA “DEMOCRAZIA”... È CADUTA LA “DEMOCRAZIA” E HANNO FATTO UN ALTRO PARTITO... FORZA ITALIA, “FORZA COSE”... BISOGNA MODERNIZZARSI!... NON STARE CON LE VECCHIE REGOLE!... [...] IL MONDO CAMBIA E BISOGNA CAMBIARE TUTTE COSE!... OGGI LA CHIAMIAMO “MASSONERIA”... DOMANI LA,,, “.
Dr Lombardo, Fiume è una latrina che a quanto pare teneva la contabilità della cosca De Stefano/Tegano delle mazzette, cioè aggiornava il brogliaccio scomparso quella sera che s’è consegnato ai poliziotti e dove in Questura vi era ad attenderlo don Ciccio Mollace. Lo Giudice, il nano, fa coppia con Fiume poiché sono due latrine. Maesano è l’unico collaboratore di giustizia e non un confidente, attendibile. E tal Proposito, dr Lombardo, veda di risolvere il mistero del borsone consegnato dal Maesano alla dr.ssa Ronchi del gruppo Pignatone, con dentro documenti che attestavano inequivocabilmente l’attività estorsiva. Quel borsone scomparso è stato notato proprio dal Maesano nella stanza della dr.ssa Ronchi. E’ vero che la ‘ndrangheta sia comandata dalla massoneria nella quale sono iscritti non pochi magistrati alcuni dei quali resi noti dalla nostra testata. E’ vero che la ‘ndrangheta si oppose con don Ntoni Macrì di Siderno allo spaccio di droga e fu ucciso dai suoi oppositori mentre giocava a bocce.

Considerare Lo Giudice, il nano, ‘ndranghetista o collaboratore, o confidente è una baggianata. Luciano era un usuraio che circolava in Ferrarari e che ogni mattina mandava cornetti e caffè in Questura. Altri tempi. Oggi, la Polizia a Reggio, è una cosa seria! Orbene, Luciano è stato giudicato a Catanzaro, non corrotto, insomma un manager e un bravo imprenditore. Ciò dimostra che non avrebbe mai potuto corrompere don Ciccio. In quanto all’occ. Armonia, se non sbaglio coordinata da don Ciccio, avvenne che quella notte in cui i Carabinieri andarono ad arrestare i Cordì, nessuno fu trovato nella propria abitazione. Miracolo fu! Legga dr Lombardo, le intercettazioni dei Cordì e si renderà conto dei legami che avevano con alcuni magistrati. Il resto è acqua che da parecchio tempo è passata sotto i ponti. Sul terreno di proprietà dei Rosmini è stato costruito un palazzo, dove un appartamento è stato, diciamo acquistato dal collega del Procuratore Generale del lungo e prolungato corso, dr Adornato. In quanto all’occ. “Bellu Lavuro”, il solito Fuda, attuale sindaco di Siderno, non è stato neppure infastidito. Sorvoliamo su Viviani, manovrato addirittura dal Nano. Che casino, dr Lombardo!
Al prossimo.
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