top of page
Cerca

La polvere sulla sceneggiata dell’arresto di Provenzano

  • di Francesco Gangemi
  • 9 ago 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Di seguito credo abbia il diritto, di esprime la mia personale opinione sull’arresto di Bernardo Provenzano. Poco m’importa quanti egli figli avesse e cosa facessero. M’interesserebbe sapere che fine abbia fatto il tesoro del latitante più “lungo” del nostro Bel paese, delle protezioni cui ha goduto, e da chi e perché in carcere, o meglio, in un ospedale lo ridussero alla totale demenza fino alla morte. Il terrore che il latitante potesse aprire bocca, ha suggerito ai soloni di farlo tacere. Per sempre. Molti furono gli uomini del disonore venuti meno al giuramento dell’omertà, che collaborarono per la sua cattura, ovviamente del latitante, comunque mai avvenuta tanto da provocare tensioni e strascichi giudiziari tra gli stessi graduati dei Carabinieri. Pare, ho miei dubbi, che l’antimafia addirittura avrebbe “implorato” Provenzano di volersi costituire. Vero o falso, non lo so. A me sembra una bufala. Non solo, e che i pizzini trovati nel casolare dove negli ultimi tempi trascorse la sua latitanza a Corleone, fossero le liste della spesa e gli scontrini. Fantasia o realtà? I cosiddetti pentiti che, a loro dire, collaborarono per la cattura del boss corleonese furono tanti, tra i quali Salvatore Cangemi, reggente del mandamento di Porta Nova, Pietro Aglieri, capo del mandamento di Santa Maria del Gesù, Luigi Ilardo, reggetene mafioso della Provincia di Caltanissetta, confidente del colonnello Riccio dei ROS, al quale promise che avrebbe fatto incontrare il latitante che si sarebbe trovato in un casolare vicino al paese di Mezzojuso. Tuttavia, vi furono arresti e diatribe tra ufficiali dei Carabinieri al centro Mori. Pochi giorni dopo la soffiata, il boss fu ucciso. Seguirono altri arresti. Altro collaboratore Nino Giuffré, informò i carabinieri dell’investimento di Provenzano con denaro sporco nella clinica Villa Santa Teresa. Anche qui seguirono 47 arresti di persone che avrebbero favorito la latitanza del boss. Nonostante le confidenze dei pentiti di comodo, il boss nel 2003, forse è questa la data, si ricoverò in una clinica di Marsiglia facendosi operare di tumore alla prostata fornendo documenti falsi sia per il viaggio sia per il ricovero. In effetti, il latitante aveva una carta d’identità con i dati anagrafici falsi che gli era stata fornita da tale Francesco Campanella già presidente del Consiglio Comunale di Villabate. Anch’egli inizia a collaborare. Il resto fa parte della leggenda. Provenzano, stragista collegato a Riina, nel tempo si defilò e iniziò a costruire il suo patrimonio che a oggi i magistrati di Palermo sembra non siano riusciti a rintracciare. Così si dice. La verità è che Provenzano, ormai ammalato piuttosto seriamente, si ritirò in un casolare sito in Corleone, dove la moglie giornalmente gli portava da mangiare.

Di quali complicità abbia goduto il Provenzano nel corso della sua più lunga latitanza registrata dalla cronaca di “cosa loro”? Forse, non lo sapremo mai. Intanto, è dato porre l’accento su un finanziere – almeno come tale si presentò – che prese contatto con l’attuale presidente del Senato, all’epoca capo della Procura antimafia in Roma. Tale individuo propose la resa di Provenzano alle seguenti condizioni: la dazione di £. duecento milioni, e la notizia dell’arresto dopo due mesi della sua consegna. Grasso non accettò mentre altri suoi collaboratori magistrati <!-- @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } --> erano d’accordo. Fatto sta che l’accordo saltò mentre le condizioni fisiche di Provenzano avevano bisogno di urgenti cure. LA SCENEGGIATA In sostanza, la mia opinione è che Provenzano si sia consegnato spontaneamente alla Polizia comandata dal dr Cortese agli ordini del procuratore Pignatone. Il quale, quando transitava nei corridoi della Procura, il dr Falcone chiudeva la porta per evitare finanche di vederlo. Dopo la consegna e la sceneggiata, restano nel buio la taglia e il tesoro. Chi ha intascato la taglia? Dov’è il patrimonio lasciato dal latitante? Dopo la finta cattura, ripeto è la mia opinione, Pignatone è trasferito con i suoi fidatissimi, alla Procura di Reggio Calabria, dove fu il paladino della confraternita capeggiata da Giuseppe Scopelliti e di dell’Utri. Per la sua vergognosa attività fu premiato a capo della Procura di Roma, portandosi dietro i suoi fedelissimi. Appena mi accorsi delle debolezze di Pignatone, scrissi in prima pagina di non condividere il suo modo d’amministrare la giustizia e continuai a porre in risalto le sue “amicizie” con quel boss che lo chiamava “pignata”, e scrissi della vocazione milazzista di suo padre. Accadde che si riunisse il CSM, appoggiato dal sindacato di magistratura democratica e mi consegneranno a Caronte. Immediatamente, mi sono auto querelato e il seguito presumo non interessi al popolo bue. Le vendette non si fecero attendere. Questa è la mia opinione. Piaccia o non piaccia.



 
 
 

Comments


bottom of page