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'Ndrangheta 4

  • Francesco Gangemi
  • 26 lug 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Pasquale Condello detto "Il Supremo"

Nostra inchiesta 4. Prima di passare alla trattazione del fenomeno cosiddetto ‘ndraghetistico, intendo soffermarmi sulla mafia. Mi rifaccio a Gianluca Tenti per meglio comprendere attraverso una puntuale inalazione mentale, la pericolosità dei metodi mafiosi. Lo scrittore - da non confondere con quelli che sfornano libri senza senso solo allo scopo d’intascare qualche centinaia di euro o d’essere coccolati dal velinario di storica memoria in offerta da alcuni requirenti in cerca di spazi di visibilità o, addirittura, d’attrarre sorprendentemente la presidente della commissione parlamentare antimafia per il rilascio di una velleitaria beneficenza di consulenza, insomma una fabbrica di libri acquistati proprio dagli iniziati – afferma a ragione che la mafia uccide sempre. Aggiunge Teti, che “… occorre partire da questa verità per non correre il rischio d’essere colpiti dal canto delle sirene, dal fascino perverso di questo crimine organizzato che non lascia niente affidato al caso, anzi come un rituale macabro, basa tutta la sua potenza su un <modus operandi> che non conosce la parola pietà”.

Questa tragica affermazione è confermata dalle stragi siciliane che portano con sé i misteri della politica anch’essa stragista. Né possiamo archiviare le due guerre di mafia che sconvolsero la città del nulla con circa ottocento morti fin quando in un albergo di Taormina, alla presenza di un boss americano e di rappresentanti della malavita organizzata della Calabria, in particolare, della città del nulla, hanno rivoluzionato il codice degli uomini del disonore e raggiunto la cosiddetta pax mafiosa. Anche la santissima decide se uccidere qualche capo locale, come ad esempio Audino, o assicuratori disonesti probabilmente per scontri tra imprenditori o chi “sgarra”. In sostanza, i cosiddetti iniziati da tempo si concedono volentieri al pentitismo di massa o per vendetta a cui provvederà lo Stato, venendo così meno al giuramento dell’omertà. Vedi Buscetta al quale Riina massacrò la sua famiglia e che, a mio avventato giudizio, gestì il povero Falcone. O per ottenere privilegi e denaro, vedi a esempio Lauro che organizzò e disorganizzò il processo “Olimpia” dalle cui maglie uscirono assolti finanche boss mafiosi giustiziati dal tribunale della ‘ndrangheta, dopo avere intascato tre miliardi di vecchie lire e spacciato, assieme al fratello Bruno, droga a livello internazionale. Pentiti che talvolta coinvolgono nelle loro dichiarazioni persone innocenti pur di accontentare requirenti senza scrupoli in cerca di carriera.

E ancora Teti: “… studia l’avversario e osserva nei minimi dettagli i comportamenti, i suoi punti di forza, prima di colpirlo nei gangli vitali … e non si ferma finché non ha ottenuto ciò che pretende, troppo spesso la morte, anche a costo di travolgere in questo suo disegno gli innocenti, gli impotenti spettatori di un regolamento di conti…”. I killer della camorra ubbidiscono a questo drammatico regolamento di conti travolgendo nelle sparatorie innocenti disarmati! Teti, non è uno dei tanti scarabocchiai che presentano i loro volumetti finanche alla presenza di magistrati che addirittura hanno o avrebbero il delicato compito di reggere le sorti della Procura o del Tribunale o dell’inutile procura nazionale antimafia o della procura generale e generalizzata come quella della città del nulla. Non è facile comunque tratteggiare il profilo della cosiddetta piovra dai lunghi tentacoli allungati dalla politica e dalla massoneria, e della sua strisciante infiltrazione nei processi che vedono alla sbarra anche killer spietati.

NEW ORLEANS

Scrive Teti, che alla fine dell’ottocento la mafia cambia. In questo periodo s’evidenziano delle difformità tra la mafia siciliana e quella americana. In Sicilia le aree controllate sono suddivise in zone d’influenza. Dieci mafiosi si riuniscono e costituiscono una unità di comando che ha il compito d’eleggere democraticamente il capo. Tutti i capi di una provincia nominano un capofamiglia. La riunione dei capifamiglia proclama il capo di tutti capi. C’era una volta. In Calabria, dopo le due guerre di mafia, i capi nominano i responsabili delle locali ovverosia delle zone controllate da malavitosi dediti all’estorsione ovvero al pizzo e al doppio pizzo e chiunque volesse aprire un’attività commerciale ha l’obbligo a rivolgersi al capo locale che stabilisce la somma da versare nelle casse dell’associazione malavitosa. Fino ottocento, l’America scopre la “società segreta”, vale a dire la mafia. Così affermò “il Grand Juries: usano lo stiletto e lavorano in gran segreto”. Sarebbe la scoperta avvenuta nel 2016 per opera del PM, dr Lombardo, coadiuvato dal ROS, Carabinieri che onorano il tricolore unitamente alla Polizia di Stato, che non tarderemo a verificare attraverso le ordinanze. Certamente, farò nel prosieguo riferimento alle latitanze di Riina e, soprattutto, a quella di Provenzano durata 43 anni facendosi catturare dopo contatti con alcuni esponenti della Procura Nazionale antimafia. Una volta in carcere, gli esperti di “casa nostra” gli procurarono la totale demenza fino alla morte in modo che non potesse svelare i segreti di Stato. Egregio dr Di Matteo. A Provenzano riserveremo un capitolo a parte e presumo sia d’accordo anche il caput mundi e il suo seguito.

Fine quarta parte.


 
 
 

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